La filosofia de "Il ragazzo di Campagna": accettare la nostra dimensione, qualunque essa sia

"Il ragazzo di campagna" è un celebre film del 1984 con protagonista Renato Pozzetto. Il suo personaggio, Artemio, lascia a 40 anni il piccolo paesello di campagna in cui è nato e cresciuto, trasferendosi a Milano. Un'esperienza che si rivelerà essere fallimentare e che si concluderà con il ritorno a casa. Al di là delle gag esilaranti, che si alternano con un buon ritmo, il film è ricchissimo di spunti: il dualismo tra la vita di città e quella di campagna (qual è la migliore delle due?), tra le donne emancipate e quelle non emancipate, la disonestà di fondo della società industriale che finisce per rinverdire il mito della società agreste. Ma lo spunto più interessante da cogliere è quello sull'accettare la propria dimensione, qualunque essa sia. Artemio è destinato alla vita da contadino: non riesce ad adattarsi alla vita di città. 

Usando una metafora calcistica, un difensore non potrà mai essere impiegato in attacco. Farà training per giocare al meglio nella nuova posizione, si impegnerà, ma alla fine il suo bottino di reti sarà esiguo o a zero. Alla fine si accorgerà di aver snaturato le proprie caratteristiche. Perché uno nasce difensore o non attaccante? Questione di destino, come per Artemio, che nasce in campagna, non in città. Questione di fattori ambientali, che contribuiscono a forgiare il nostro carattere e le nostre attitudini. Quella dimensione in cui siamo nati e che abbiamo sviluppato nel corso degli anni è quella che ci accompagnerà per sempre. Si parla spesso di "comfort zone" e dell'incapacità di superare i limiti di questa. Ma uscire sostanzialmente, non solo in apparenza, dalla "comfort zone" è impossibile per tutti: ci si può adattare e creare uno spazio sempre più simile a una "comfort zone", e mai superarla del tutto. Il difensore schierato attaccante cercherà il tiro in porta, poi, vedendo la sua scarsa mira (egli è nato difensore, non attaccante), finirà per allontanarsi dall'area piccola e avvicinarsi a centrocampo. Tuttavia la sua dimensione è l'area propria, la difesa: partendo da essa poi può anche prodursi in progressioni travolgenti e addirittura segnare qualche gol. 

Sapevo benissimo, dunque, che "divertirmi" a fare l'attaccante, il fantasista, sarebbe stato un flop tremendo, però ho voluto provare.  Oggi tuttavia non c'è tempo per cercare di capire come gioca un calciatore.  Basta un'occhiata per capire che quel calciatore non interessa, tanto più che se si cerca un attaccante, perché fermarsi su un difensore che scimmiotta un attaccante?

Ad ogni modo, ognuno di noi ha una propria dimensione ed è all'interno di essa, non al di fuori, che dobbiamo trovare la felicità. Giocare nel nostro ruolo e farlo a nostro modo. E farci apprezzare per questo, per quelli che siamo. "Mi stai diventando filosofo, poeta, romantico, nostalgico, devo aggiungere qualche altro aggettivo?", mi hanno detto qualche settimana fa. Non lo sto diventando, lo ero già. Non tutti i difensori nascono per entrare sulle caviglie e spazzare i palloni in tribuna. 

Commenti

  1. Film buono giusto per apprezzare la simpatica ed esatta metafora. Si nasce quadri o tondi. Fingere serve a poco. Prima o poi ti smascherano.
    Ovviamente non vale per tutti.
    Ibra potrebbe giocare anche in porta. ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto. Chi nasce quadrato non può diventare tondo.
      Ibra speriamo rientri presto...

      Elimina
  2. Da sempre le campagne vengono abbandonate cercando nel Nord Italia e all'Estero
    lavoro e soldi per vivere. Emigra sia la gente innamorata della campagna, sia chi preferisce la città.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ovviamente chi è in stato di necessità, deve per forza adattarsi. Artemio invece aveva lavoro e casa, va in città per cambiare vita, ma si rende conto che la sua vita era in mezzo ai campi.

      Elimina
  3. Ogni volta che vedo questo film penso ai tanti giovani Italiani che emigrano a Londra per finire a fare i camerieri (nonostante la laurea).
    Non sarei mai capace di lasciare il mio nido in cerca di un futuro migliore.
    Ho sempre preferito rimboccarmi le maniche nella mia terra. In tutti i sensi.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Bella riflessione la tua. Molti emigrano a Londra anche per voglia di fare esperienza in un posto diverso dall'Italia...per molti magari è come per Artemio, tornano a casa, altri ci rimangono felici, come il mio amico Luca Mazz!

      Elimina
    2. Secondo me molti piuttosto che finire in un call center in Italia preferiscono fare i camerieri a Londra, c'è questa specie di "romanticismo" del lavorare e vivere all'estero...anche mio cugino ha fatto questa scelta e gli è andata pure bene, visto che si è sposato e vive stabile là ora :D

      Elimina
    3. non è tanto una questione di "romanticismo", ma di opportunità: uno inizia a fare il cameriere a Londra un po' per mantenersi e un po' per imparare la lingua, conscio che sarà una cosa momentanea in attesa dell'occasione per migliorare.

      In Italia fai il cameriere/call center a vita (se ti va bene e non ti licenziano ogni 3 mesi per sfruttare le sovvenzioni statali ecc ecc...)

      Elimina
    4. Anche secondo me meglio fare il cameriere a Londra che il call center in Italia..
      Poi sicuramente cambiare completamente le proprie abitudini di vita, per me, sarebbe una maxi sfida :)

      Elimina
  4. Molte volte si cerca di cambiare per migliorarsi, ma alla fine si può anche peggiorare.
    Saluti a presto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esattamente...si può anche peggiorare. E sentirsi peggio.

      Elimina
  5. Adoro questo film, porta con sé tanti ricordi della mia vita familiare. Lo guardavamo tutte le volte, mio padre, mio fratello, mia madre ed io. Tutti intorno al tavolo a sorridere e poi combattere con Artemio. Ce l'ho nel cuore, forse anche solo per aver saputo riunirci così.
    Buona domenica sera.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Anche per me è così: uno di quei film cult di quando ero bambino. E lo guardavamo tutti, in famiglia :)

      Elimina
  6. mamma che film! Il top di Pozzetto, uno di quei classici che non invecchiano mai!

    Pieno di trovate assurde e di una Milano che non c'è più (vedi la scena dell'arrivo col trattore con le macchine che passano accanto al Duomo, oggi è tutta zona pedonale).

    Sapevi che Pozzetto aveva scritto un canovaccio per un sequel in cui avrebbe sfruttato il "Bosco Verticale"? Ha riutilizzato l'idea per una gag con Frassica divertentissima xD

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grande Andrea! Spiegami quella cosa del bosco verticale :D...
      Comunque sì, un classicone. Per me una delle più belle commedie all'italiana.

      Elimina
    2. Il Bosco Verticale è un complesso di due palazzi residenziali a torre progettato da Boeri Studio (Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra) e situato nel Centro direzionale di Milano, ai margini del quartiere Isola.

      Peculiarità di queste costruzioni, ambedue inaugurate nel 2014, è la presenza di più di duemila specie arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Si tratta di un ambizioso progetto di riforestazione metropolitana che attraverso la densificazione verticale del verde si propone di incrementare la biodiversità vegetale e animale del capoluogo lombardo, riducendone l'espansione urbana e contribuendo anche alla mitigazione del microclima.
      https://it.wikipedia.org/wiki/Bosco_Verticale

      la gag comunque è questa:
      https://www.youtube.com/watch?v=YzMDhz40C7w

      Elimina
    3. Grazie mille per la spiegazione :) oggi dopo il lavoro e il giro blog, mi gusto anche lo sketch!

      Elimina
  7. È una delle mie commedie italiane preferite. Ho visto questo film chissà quante volte! :D
    Belle riflessioni, anche nei commenti :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Guido :), infatti sono contentissimo anche del dibattito che si è formato. Ho degli ottimi lettori :)

      Elimina
  8. Mi piace la filosofia che esprimi: anche per me la comfort zone deve essere superata solo quando nociva e incatenante.
    Ma la gioia è in quello che siamo, non in quello che saremmo snaturandoci.
    In sostanza, se siamo ragazzi di campagna, troveremo la felicità tra i campi.

    Moz-

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto..se la comfort zone diventa nociva, un alibi per non fare le cose, no..
      Ma rompere la comfort zone per vivere peggio, si finisce male...

      Elimina
  9. Complimenti Riky,mi è piaciuto molto il modo in cui hai fatto emergere le connessioni sul "campo" :)


    Campo inteso anche come metafora terrena ...dove ogni passo lascia un impronta e si eleva in spirito .


    Campo inteso come coltura della cultura,dal cinema ai messaggi nascosti dentro lo stesso e dentro il noi stessi .

    .Campo come metafora calcistica dove "un difensore non potrà mai essere impiegato in attacco".

    Campo inteso come dimensione dell'anima dove è possibile trovare dentro di essa la propria felicità e non fuori.

    Ecco, tra tutto questo non ricordo se ho visto il film o se ci stavo dentro :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie cara..sono felice che tu abbia apprezzato il mio scritto e che ti sia soffermata, cogliendo connessioni e riflessioni personali. Sei stata attenta su ogni parola e anche se non puoi cogliere tutto, sono sicuro che tutto quelli che potevi recepire, lo hai recepito...
      Per il resto ricordati..Non tutti hanno voglia di guardare i tasselli, di leggerli, di unirli insieme...ed è un mio rammarico :)
      Ho provato ad andare all'attacco nel tentativo di mostrare i miei tasselli...ma non è servito.

      Elimina
  10. Non avevo mai visto il film con questa chiave di lettura. Condivido il discorso sulla'accettare la propria dimensione perché l'accettazione dell'io, della propria missione e dei propri limiti è la condizione necessaria per migliorarsi.
    Sulla comfort zone invece ti propongo una diversa analisi. Questa interpretazione metaforica della parte emotiva della persona riguarda le emozioni e il carattere, non le skill personali. Un difensore non può diventare un attaccante? Vero, ma può diventare un difensore più bravo, magari eccezionale se smette di fare le stesse cose e prova a introdurre dei piccoli cambiamenti nel suo gioco.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie per l'ottimo commento, caro Mick.
      Hai ragione per ciò che concerne il difensore.
      Piccoli cambiamenti: sono questi fondamentali per poter migliorare ed essere felici.
      Giocando in attacco è un'esperienza non soddisfacente, ma magari qualche concetto può essere utile quando si torna in difesa..per migliorare il proprio gioco.

      Elimina
  11. Uscire dalla comfort zone solo nel caso in cui questa si trasforma in una prigione, se ci limita. Altrimenti non ci vedo nulla di male nel rimanere nella propria dimensione. Mi farebbe più paura snaturarmi, sicuramente.
    Ho in programma di sciogliere qualche nodo, il prima possibile: bisogna sempre migliorarsi ma io voglio rimanere sempre io :)
    Un ragazzo di campagna può anche adattarsi alla città, amarla, viverla bene ma non dovrebbe mai lasciar andare via le proprie radici, nemmeno provarci.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esatto, la comfort zone diventa prigione quando iniziamo a soffrire, dentro di essa. Il rischio opposto è, come hai detto tu, snaturarsi.

      Elimina

Posta un commento