Sono Fotogenico: Pozzetto e Dini Risi anticipano il ragazzo di Campagna



"Sono fotogenico"
, film di Dino Risi del 1980 interpretato da Renato Pozzetto, fonde elementi del cinema del regista, tra i massimi esponenti della commedia all'italiana, e di quello dell'attore milanese. Pozzetto interpreta Antonio "Tony" Barozzi, giovane di Provincia che decide di cercare fortuna a Roma, nel mondo del cinema. I risultati saranno pessimi e il povero Tony non potrà che fare ritorno nella sua Laveno.



Sono evidenti le similitudini con "Il ragazzo di campagna" (1984), un cult del cinema pozzettiano: il "provincialotto" che stufo della propria routine cerca fortuna nella grande città. Il fallimento lo costringe a fare ritorno al suo porto sicuro. Anche dal punto di vista sentimentale: la "cotta" per un'avvenente donna - in "Sono fotogenico" Cinzia, interpretata da Edwige Fenech - è un naufragio a cui fa rimedio sposando la propria fidanzata storica (Marisa e Maria Rosa, curiosa assonanza tra i due nomi).  Lo spirito dei due film è però completamente diverso. Ne "Il ragazzo di campagna" il percorso di Artemio-Pozzetto lo porta alla piena consapevolezza che la sua vita sia quella nei campi. La sua dimensione è quella e la accetta. Non è dunque un film pessimista: semplicemente sta a noi capire quale sia la nostra dimensione e viverla pienamente, tra momenti di felicità e di tristezza, ricordandoci che l'erba del vicino ci appare sempre più verde, ma non lo é. 



In "Sono fotogenico" il ritorno a casa è molto più amaro, quanto meno interpretando lo sguardo perso nel vuoto di Antonio, dopo uno scambio di battute con la moglie. Antonio e Artemio condividono molti tratti caratteriali: sono due personaggi imbranati, sostanzialmente timidi con il gentil sesso, un po' infantili e mammoni. Entrambi sono vittime del sistema, di una società in cui bisogna sempre diffidare del prossimo e guardarsi le spalle. Entrambi, prima del ritorno a casa, si ribellano in modo vistoso: Artemio con la celebre invettiva conclusa con gli sputi sui parabrezza delle automobili, Antonio riempiendo di insulti la crew di un film, in prima fila il grande Mario Monicelli (guest star  di "Sono fotogenico" assieme a Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Barbara Bouchet). Due reazioni sguaiate che tradiscono una certa impetuosità del carattere, finora rimasta latente, ma anche l'effetto di una società esasperante anche sulle persone più placide. Però Artemio accetta pienamente il suo status; Antonio, pur esternando un "meglio Laveno" agli occhi di un produttore italo-americano, rimpiange il dorato mondo del cinema e guardando un battello, nell'epilogo del film, si rende conto che i suoi sogni sono scappati via. É dunque prigioniero di una vita da impiegato di banca (la professione del padre), una vita da medio-borghese, tema tipico del cinema degli anni '70.




"Sono fotogenico" esce in un periodo in cui la commedia italiana è già tramontata da qualche anno, pronta a subire le influenze di quella americana, aggiungendo elementi fantastici alla narrazione. Ma il salace ritratto del mondo di Cinecittà, all'interno di "Sono fotogenico", non può che risentire dell'eredità della grande commedia all'italiana. E il film, sorretto da un Renato Pozzetto in grande spolvero (qualche critico la ritiene, a ragion veduta, la sua miglior interpretazione), snocciola una serie di gag irresistibili, su tutte la celebre scena dello shooting fotografico, con Pozzetto davanti all'obiettivo invitato a dare vita, con la propria espressione, a diversi stati d'animo, fallendo però miseramente (rimane sempre con la stessa, identica espressione).  Irresistibili anche i battibecchi in famiglia, con la madre che lo invita a smettere con le attività onanistiche, preoccupata perché possa diventare cieco e con il cognato interpretato da Massimo Boldi (quando svolge piccoli ruoli da spalla è esilarante); senza dimenticare il nonno, che fa scoprire ad Antonio da bimbo la bellezza del corpo nudo femminile e che muore felice durante la visione del film "Quant'è bella la Bernarda, tutta nera, tutta calda". Film da riscoprire, dunque, anche se la seconda parte diverte meno della prima. 


Commenti

  1. Però non capisco la necessità di fare due film così simili. Ok, ci sono delle differenze, ma a me sembrano di più le similitudini.

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    1. Il ragazzo di campagna è più comico, questo più amaro; il personaggio pozzettiano è lo stesso, sostanzialmente, anche se posto in due contesti diversi (qui è il ragazzo di Provincia che va in città, nel ragazzo di campagna è proprio il bifolco che va in città) :D

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  2. L'avevo recuperato parecchio tempo fa. Nonostante l'abbondanza di gag, alcune anche molto acute, tali da precorrere i tempi, l'avevo trovato un po' fiacco, soprattutto nella seconda parte.

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    1. ciao Babol! Se devo dire, sì, la seconda parte non è all'altezza della prima. Peraltro in quegli anni nel cinema italiana capitava spesso: un film molto brillante nella prima parte, che si incagliava un po' nello svolgimento, prima di tornare a tono sul finale :)

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  3. > É dunque prigioniero di una vita da impiegato di banca (la professione del padre), una vita da medio-borghese, tema tipico del cinema degli anni '70.

    Eh, già... che sfiga, proprio!

    A differenza del cult dei cult "Il Ragazzo di Campagna" (di recente sono andato a Milano in alcune zone del film, tipo la famosa "Piazza San Eustorgio": https://www.facebook.com/photo/?fbid=10220612486532812&set=pcb.10220612513853495), questo film non mi ha mai fatto impazzire, al netto della famosa scena delle "pose" (che anticipa Zoolander e la sua "magnum", volendo).

    Altra gag ricorrente in diversi film di Pozzetto era la valigia rubata, vedi Ragazzo di Campagna, ma anche Un povero ricco

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    1. Eh noi la vediamo (giustamente) come una cosa splendida, un ruolo impiegatizio in banca, ma all'epoca diciamo la prospettiva era diversa (quanto meno a livello ideologico!).

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    2. Lo stesso Pozzetto però ne "La casa stregata" (altro cultissimo dell'attore) fa uno sfigato bancario, ultima ruota del carro (indimenticabile la scena di "Stronzo, damme un blocchetto degli assegni!" con l'attore che faceva Manzotìn in "Febbre da cavallo" o le continue rapine a mano armata, così continue che ormai si dà il tu coi rapinatori xD), che però si riscatta impalmando una certa Gloria Guida.

      Comunque quest'avversione al lavoro da impiegato che si vede nei film del periodo credo che fosse proprio una battaglia ideologica dei benpensanti che odiavano chi si accontentava di lavorare per vivere e non del contrario... perché mio padre aveva uno zio che faceva davvero il bancario e si trovava benissimo: stipendio fisso, 13-14-15esima tutti gli anni, ferie pagate, a fronte della "classica" rapina a mano armata che gli capitava in media una volta all'anno (per cui Pozzetto non s'è inventato niente).

      Tra l'altro venne assunto in maniera rocambolesca, da Italia rurale ed in espansione di una volta: il padre regalò il locale alla banca in cambio dell'assunzione del figlio, l'ultimo che ancora non si era sistemato (non sai in quanti ne prendevano in questa maniera, anche nelle nascenti industrie: tutti i figli dei contadini a cui hanno espropriato la terra per creare la Raffineria o la centrale dell'Enel sono stati assunti come impiegati e gli hanno "salvato le gambe").
      Già 10 anni dopo, esaurito l'ultimo colpo di coda del boom economico, valeva la battuta di Gigi e Andrea "Ci sono più disoccupati che bambini! [...] Siamo andati a fare il concorso, ma è possibile che per 3 posti ci sono sempre 300.000 candidati?"

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    3. Infatti era un'avversione ideologica. Perché di fatto anche all'epoca chi protestava nelle piazze alla fine era attratto da quel modello di vita. Non a caso si parla di borghesizzazione della classe operaia..Pasolini stesso disse che lo scontro proletari vs borghesi tipico del marxismo in Italia fallì perché i proletari semplicemente volevano prendere il posto dei borghesi e non cambiare la società! In fondo lo racconti anche tu: figli di contadini che, in cambio della terra, hanno trovato un lavoro da impiegato.

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