Ad Ovest di Paperino: l'esordio di Nuti in un film surreale e pungente




Ad ovest di Paperino (1981) è il film d'esordio di Francesco Nuti, protagonista assieme ad Athina Cenci e Alessandro Benvenuti, che è anche il regista della pellicola: insieme formavano il trio de I Giancattivi.

Nuti entrò nel terzetto nel 1978, fondato da Cenci e Benvenuti sette anni prima assieme a Paolo Nativi. Quest'ultimo fu sostituito da Franco Di Francescantonio, poi da Antonio Catalano e infine da Nuti, che dopo questo film lasciò I Giancattivi per mettersi in proprio. 

Ad ovest di Paperino, per l'attore fiorentino, costituisce un esordio decisamente di impatto, anche se in certi momenti ci pare un po' sacrificato, essendo a mio parere il più talentuoso del terzetto. Così simile a Benigni, non solo fisicamente, ma anche in alcune caratteristiche del  personaggio a cui dà vita in questo esordio sul grande schermo: Antonio, giovane impacciato e succube della madre, incapace di crescere. Certamente Benigni fin dal principio ha messo in luce quella verve, quell'irriverenza e la capacità di rendere irresistibile, dal punto di vista comico, anche il turpiloquio, doti che Nuti non ha; ma quest'ultimo ha saputo trovare la sua strada e Ad ovest di Paperino è stato solo il primo passo di una carriera brillante, purtroppo interrotta in maniera prematura. 

Ad ovest di Paperino: i tre protagonisti, tra "no sense" e critica sociale

Il film, da un soggetto di Benvenuti, che ne è anche sceneggiatore, segue per 24 ore le peripezie di tre giovani: Antonio appunto, Augusto (il personaggio interpretato dal regista) e Marta (Athina Cenci). Paperino non è il papero disneyano, ma la frazione di Prato. "Dove si va", dice Antonio ad Augusto, la risposta è "Ad Ovest di Paperino", una meta indefinita. Perché il terzetto effettivamente vaga per le vie di una Firenze lontana dalle immagini che ne celebrano lato artistico e turistico; una "Città Vecchia", citando la canzone di De Andrè, popolata da individui di bassa estradizione sociale, un'umanità variegata e surreale.

Ad ovest di Paperino è infatti storia che fonde "no sense" a tematiche presenti nel cinema di quegli anni.

Marta è il personaggio più surreale: una donna pittrice che vive in un sottotetto e che odia i bambini a tal punto da sferrare loro dei pugni o gettare i mozziconi di sigaretta accesi nelle loro carrozzine, in scene decisamente ben poco politicamente corrette. Marta ha comportamenti assolutamente odiosi, oserei dire addirittura crudeli, ed è mossa, nelle sue azioni, semplicemente dalla volontà di rintracciare una figura "mitologica", un uomo nato dalla fusione di uno stormo di piccioni. Era stata la sua bisnonna, refrattaria agli uomini, ad aver soddisfatto il desiderio della famiglia di vederla accoppiata, legandosi a uno di questi uomini piccioni. Così Marta sarebbe discendente di chi è nata da questa improbabile unione, per questo avrebbe comportamenti simili a quello del piccione: animale "dispettoso", che si fa ben poco amare dagli uomini.




Marta, rispetto ai due compagni "di viaggio", cerca i "suoi simili" e in una scena onirica, tra le più riuscite, assiste a un'esplosione che poi ri-trasforma un uomo, il padre di Antonio (Novello Novelli), nella sua forma originaria, lo stormo dei piccioni.

Di diversa caratura invece i personaggi di Antonio e Augusto, che rappresentano alla perfezione, seppure da due prospettive diverse, l'alienazione dei giovani nella società italiana e nella borghesia del periodo successivo alle lotte di piazza e alle stragi: il primo cerca il suo posto nel mondo e il suo impiego (esce di casa sostanzialmente per iscriversi all'ufficio di collocamento), ma le sue prospettive sono tutt'altro che rosee, viste già le sue difficoltà nell'affrontare la burocrazia; il secondo passa il tempo in una delle radio indipendenti che proliferavano in quegli anni, ma è già estraneo a una società che prevede, come massima realizzazione, un impiego fisso e sicuro, più la famiglia. 




Sono due personaggi, ai margini della società borghese, assolutamente complementari: Antonio è insicuro e facilmente "manovrabile" da Augusto, che è invece un carattere ribelle, insofferente alle convenzioni sociali, tanto da vedere nel prossimo solamente un bersaglio per scherzi o piccole truffe (il barista). Ma il primo vive in famiglia, con una madre iper-protettiva, mentre il secondo ha una madre in ospedale e presupponiamo sia appunto rimasto senza un adulto che gli faccia da guida. 

Antonio non si pone il problema del "vuoto" della sua esistenza, Augusto ne è consapevole e lo riempie, come avveniva per tanti suoi coetanei, facendo uso di droga. Metafora della sua vita è l'ambiente radiofonico: un caos totale, via vai di persone, luce che salta, un fiume di parole (e telefonate) senza senso. 



I giovani che non sono inseriti nella società borghese sono dunque spaesati e alienati, ma attenzione: entrare nei meccanismi della borghesia non significa realizzazione e felicità. Basti vedere il padre di Antonio, spento nello sguardo, "fiaccato" da una vita coniugale che lo porta a preferire la compagnia del televisore a quella della moglie. Famiglia e lavoro, due dei tre caposaldi della società borghese, che si rispecchiano perfettamente nel personaggio interpretato da Novello Novelli, in pensione dopo 40 anni di lavoro da impiegato alla Sip, senza mai lamentarsi, pur avendo i motivi per farlo: bastava portare a casa lo stipendio per mantenere la famiglia. Il terzo caposaldo è la religione, che viene però svuotata di significato: diventa stupida ritualità, quella della madre di Antonio, tra acqua santa e santini. 




Così Ad ovest di Paperino mette tanta carne al fuoco, non limitandosi a mettere insieme una serie di sketch, alcuni dei quali (i palpeggiamenti ai passanti) irresistibili. Siamo lontani dalla grande Commedia all'italiana, ma l'originalità rende questa pellicola, surreale e pungente, un gioiellino del nostro cinema, da riscoprire e da rivedere. 

Commenti

Posta un commento