Al mercatino (di Bonigol)


di Bonigol

Ogni estate, da quando sono bambino, nella mia città, i frati cappuccini organizzano un mercatino dell'usato per raccogliere fondi da devolvere alle missioni o come contributo ai paesi africani in via di sviluppo.

Una volta questo rituale aveva luogo all'aperto, nel viale adiacente al convento ma ora vengono utilizzati gli ampi spazi interni che negli anni sono stati suddivisi in maniera via via più selettiva in vestiario, arredamento, giocattoli, libri, eccetera. 

Ormai è tradizione per me andarci il giorno dell'apertura, per poi magari tornarci un paio di volte nell'arco delle tre settimane durante le quali si svolge.

L'orario d'inaugurazione (riportato sul volantino) è fissato per le ore 15 del più torrido sabato dai tempi del passaggio della cometa che causò l'estinzione dei dinosauri. Appena chiusa la portiera dell'auto bastano pochi passi per dare il via alla traspirazione. Davanti all'ingresso (ancora chiuso alle 15.02) un cocktail olfattivo indescrivibile preannuncia la folla in trepidazione, quasi un esercito di Swiftie all'imminente apertura dei cancelli del Madison Square Garden. 

Dall'interno un frate "allieta" l'attesa elencando le lodevoli opere realizzate nel continente africano con il ricavato dei mercatini degli anni scorsi e ringrazia gli astanti per la presenza (come sempre) massiccia e i numerosi volontari per il lodevole impegno perpetuato anno dopo anno. Il monologo è scandito dal ronzio di ventagli improvvisati (borse di plastica, copricapo, volantini o borsette), molti cenni di approvazione e qualche raro "e aprite, cazzo!" sussurrato quasi con implorante irriverenza da un uomo che, data la tonalità pompeiana delle sue guance, forse dell'Africa sta invidiando il clima, ben più mite di quello padano. 

Dopo qualche istante il portone si apre e "pogando" come un carico di ciottoli dentro una betoniera (saranno in molti a scoprirsi lividi "misteriosi" in serata) la massa si riversa nel porticato che fa da anticamera al mercatino e si dirama in ogni apertura, riempiendo tutti gli spazi, come una vera e propria fiumana che dal monte scende verso valle. 

Io mi fiondo tra le scansie dei libri senza obiettivi ben precisi. Adoro le vecchie edizioni, le rilegature eleganti e perfino le pagine ingiallite, purché in buono stato. In questo luogo mi piace lasciarmi sedurre dal fascino del passato: stringere un vinile, rivedere un giocattolo vintage o scovare, fra i tanti, quel vecchio albo di Tex, Zio Tibia o Dylan Dog che conosco a memoria per averlo letto fino alla nausea da adolescente. 

Il reparto romanzi è pieno di anime boccheggianti che si urtano, si scambiano informazioni "Sai dov'è questo?" "Hai visto in che scansia si trova l'autore tal dei tali?". 

Il fascino sprigionato dalle scansie di libri mi spinge ad andare oltre, fino ad un passaggio stretto che conduce verso i fumetti, ostruito da una coppietta in cerca del "pezzo da novanta". Cementati davanti allo scaffale dei manga fanno squadra. Lui estrae un albo e lei ne verifica il prezzo di mercato su Wallapop o Ebay: "Mollalo che non vale niente amo!". Finalmente all'orizzonte si materializza un tizio non molto alto con una polo "nuvolata" di sudore e la fronte imperlata di goccioline pronte a scivolare giù e formargli nuove fantasie sul petto e sulla schiena. I due si scansano appena in tempo per evitare il contatto e perdono drammaticamente il posto. Si apre un varco e i curiosi, me compreso, ne approfittano. 

La stanza dei fumetti è una delle pecche di questo mercato missionario. Una stanza di circa 2 metri per 1.50 stipata di volumetti lungo tutto il perimetro con dentro odore di cantina per via delle pagine invecchiate e un'umidità seconda solo a Manaus, in Amazzonia. La disposizione dei fumetti è impeccabile, quasi artistica, devo riconoscerlo, ma in stanze di simili dimensioni e condizioni climatiche immagino inducessero al suicidio i condannati ai tempi di Caterina Sforza. Qui è scientificamente impossibile non essere d'intralcio. Ti soffermi tre secondi su un volume? Sei in mezzo. Indichi un frontespizio col dito? Ecco che il tuo indice si conficca nell'occhio di un bambino che passava di lì. Indietreggi di un passo? Tanti saluti all'alluce di chi ti stava alle spalle. Allunghi un braccio per afferrare un vecchio numero di Diabolik? Uno ci passa sotto ballando il limbo per non venir decapitato. Tutto questo tetris avviene nello stesso tempo in cui Usain Bolt percorrerebbe i 100 metri di corsa.

Poi, un'illuminazione. Scorgo in una cassetta per terra, ricoperto da riviste "antiche" come Linus e Intrepido, un fumetto di Zagor contro Hellingen che leggevo da bambino e istintivamente mi acquatto per prenderlo. A stordirmi a tradimento è un forte aroma di sandalo (no, purtroppo non il dolce profumo del prezioso omonimo legno) proveniente da una coppia di piedi inciabattati che stazionano a 30 centimetri dal mio naso. Passare dalle verdi foreste di Darkwood alla stagionatura del taleggio è un istante.

Esco malconcio e leso nella fantasia e nei turbinati. 

Passo ai DVD, che costano appena un euro ciascuno e ne riempio un sacchetto. Faccio mia per pochi spiccioli anche una guida di Berlino praticamente nuova e un classico di García Márquez. Incrocio una donna che discute (col marito?) sul prezzo (a suo dire troppo alto) di una madia e sostiene che in quel mercatino ci si trovano solo cianfrusaglie. 

Passo oltre, verso il settore archeotecnologico, composto per lo più da carcasse di videoregistratori e cadaveri di frigoriferi e lavatrici (buone soprattutto per pezzi di ricambio) ma questo non frena la curiosità dei veri "ciappinari" romagnoli che se ne escono con "trofei" da discarica sfoderando sorrisi a mezzaluna di chi si autoproclama il più furbo di tutti.

Una donna coglie da una scansia un biberon di seconda mano, che mi auguro possa servirle per una qualche composizione artistica di natura morta o per una ricerca sulla microflora batterica e che in ogni caso mai possa finire tra le gengive di un poppante. Un ragazzo esce con una decina di musicassette che fatica a tenere in equilibrio e con le due mani le porta al petto come fossero il suo bebè. Nel frattempo i venditori fomentano lo shopping, invitano a osservare questo o quel reparto urlando "venghino, venghino" e sembra di stare a Porta Portese negli anni settanta. 

Continuando il mio vagabondare tra i reparti brulicanti di gente mi ritrovo accanto alla tendona da campeggio che funge da reparto scarpe usate. Un minuto di silenzio per gli eroici volontari all'ingresso e per gli avventori che hanno lasciato ogni speranza entrandoci. 

Ci sono anche momenti di tensione come in ogni luogo affollato "che si rispetti". Due arzilli pensionati si accusano reciprocamente ("L'avevo vista prima io") di aver sottratto lo scheletro di una bicicletta all'altro. 

Questo posto è una meraviglia. Un vero campionario delle debolezze e delle passioni umane. Ecco perché anno dopo anno continuo ad affrontare la folla e il caldo asfissiante per tornare qui, anche solo per pochi minuti. Non è la beneficenza, né la ricerca dell'affare del secolo ma sono, insieme, il fascino di tutte queste dinamiche, del degustibus e l'insofferenza ma anche curiosità che la gente suscita in me, oltre al folklore del luogo e la splendida nostalgia data dai vecchi oggetti, ovvio.

All'uscita noto intorno a me (scon)volti soddisfatti, ognuno stringe il proprio tesoro. Rivedo la donna che denigrava il mercatino e stringe una borsa piena di roba dalla quale si evince che in fondo qui non si trovano solo cianfrusaglie inutili. Suo marito, o chiunque fosse, non è con lei. Che sia andato a caricare la madia su di un furgone? Chissà. 

Mentre all'interno le contrattazioni proseguiranno ancora per un po', io, stremato ma appagato, mi dirigo verso casa con i miei acquisti e qualche piccolo rimpianto per oggetti (inutili) che mi hanno strizzato l'occhio ma non ho comprato. 

Nessun problema. Finirà questa bollente estate, finirà il caldo invalidante e arriverà il fresco, l'inverno e poi, in un baleno l'estate sarà di nuovo qua; e allora anche il mercatino dei frati tornerà e io sarò lì nuovamente a tuffarmi con coraggio nella calca, non solo per beneficenza, non certo per qualche film in DVD o per un pugno di libri ma per l'irresistibile fascino delle tradizioni che, quelle no, non finiscono e (con poco) sanno darti tantissimo.

Commenti

  1. Io li amo questi mercatini e quando li trovo sono contenta come una pasqua :) per me è sempre una festa.

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  2. Anche io. Anno dopo anno continuo con questo tuffo nel folklore. Quanti ricordi suscitano! Comprerei metà delle cianfrusaglie che vedo. 😅

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  3. Io non posso, non per ragioni economiche, ma per ragioni di spazio XD. Quindi devo stare alla larga dai mercatini

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  4. Anche io ho uno spazio davvero contenuto in casa, peraltro ho una mente minimalista quindi l'accumulo degli oggetti mi fa stare male. E' che proprio mi piace guardarli, spulciare :) poi magari non compro, però li guardo volentieri. Mi divertono.

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    1. Bello! Però in seconda battuta anche io mi so accontentare dell'effetto "guardo ma non compro". Come quando guardavo la vetrina dei negozi di giocattoli senza poi portare nulla a casa :) (anche se preferivo le mani piene ahah)

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  5. Io di solito mi do un budget massimo, anche perché in questo mercatino si paga coi contanti. Porto con me sempre una ventina di euro. Non voglio rischiare di tornare a casa con scatoloni di fumetti o vecchi giochi in scatola. 😁

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