Quello che siamo va oltre la memoria e la vita. È ciò che rimane quando tutto il resto sparisce. Questa è l'eternità. Questo è il cinema
Probabilmente non sono la persona più indicata per analizzare come si deve un film di Ferzan Özpetek, regista turco sinergicamente legato all'Italia, giunto ormai al quindicesimo lungometraggio.
Non lo sono perché l'ho sempre seguito poco, arenandomi alla visione di alcuni dei suoi primissimi film (Il Bagno Turco, Le Fate Ignoranti, La Finestra di Fronte) per i quali, ai tempi, nemmeno condividevo pienamente l'entusiasmo generale. Diamanti però mi ha incuriosito, un po' per i toni lusinghieri provenienti del passaparola e un po' per la scelta, del regista, di omaggiare il cinema in generale (tramite sprazzi di un bizzarro backstage tra realtà e finzione) e, più nello specifico, riverire il suo percorso in quest'arte attraverso interpreti (in gran parte femminili) che hanno dato volto, in passato, a numerosi personaggi dei suoi film.
Una sceneggiatura che celebra (attraverso il gioco di squadra, la coesione e il sostegno reciproco) la bellezza e la difficoltà di essere donna sotto ogni aspetto possibile.
La storia è incentrata su un atelier (ubicato in un meraviglioso edificio storico) gestito dall'autoritaria Alberta (Luisa Ranieri) e dalla sorella Gabriella (Jasmine Trinca), afflitte dai loro drammi privati che affrontano in maniera molto diversa: la prima rimboccandosi le maniche e buttandosi sul lavoro, la seconda con fiumi di lacrime e apatia. Le loro numerose dipendenti formano un team affiatato e ben assortito, in grado di concretizzare in abito fatto e rifinito ogni eccentrica richiesta proveniente dal mondo dello spettacolo (cinema e teatro).
Nel raccontare le tante storie di queste sarte, anche Ozpetek tesse una sua tela, ricamando e cucendo insieme suoi vecchi ricordi di bambino e componendo vicende personali (alcune approfondite, altre meno) che vanno a mostrare le varie sfaccettature della personalità femminile facendo sfavillare all'interno del "disegno più grande" le trame ordite e inscenate.
Alberta, inflessibile, severa (ma anche giusta) è un cane che abbaia ma non morde e a piccole dosi, senza spreco di concessioni, distribuisce la sua grande empatia. Il suo personaggio, visto il contesto, ricorderà ai più la terribile Miranda Priestly de Il Diavolo Veste Prada, anche se in realtà Alberta ha un grande cuore e la sua rigidità non è perfidia ma un puro meccanismo di difesa. Sua sorella Gabriella, invece, è un cerbiatto ferito che si trascina avanti senza entusiasmo, incapace di elaborare la propria sofferenza.
Attorno a loro, sfila un carosello di personaggi, ognuna coi propri problemi (economici, sentimentali, disciplinari), rimpianti e paure (violenza domestica, timore di un giudizio, apprensione materna).
Nel cast (tra le mille altre) spiccano una Geppi Cucciari dallo humor affilatissimo, oltre a una materna e genuina (nella recitazione) Mara Venier, saggia e sorprendentemente realistica, nei panni di colei che gestisce la mensa.
Meritevoli di menzione sia l'esordio privo di sbavature di Luca Barbarossa (solitamente avvezzo alle scene musicali), sia (i bravi, come sempre) Stefano Accorsi (qua nei panni di uno stralunato regista) e Vanessa Scalera (che, personalmente apprezzo parecchio) che interpreta una creativa ed intransigente costumista blasonata.
Timida performance per Aurora Giovinazzo. Molto teatrale tutto il resto.
Storie di donne intrecciate, non tutte cariche del peso necessario, spesso risolte con un colpo di prestigio, et voilà, "all'acqua di rose", per farci uscire, noi spettatori, una volta tanto dalla sala col sorriso, come bambini acquietati dalla voce serena che ha appena terminato di leggerci la fiaba della buona notte (favole in cui spesso qualcuno muore, ma si va avanti, esiste un "dopo"), pronti a concederci ad un sonno sereno.
Siamo nella stessa sorte
che tagliente ci cambierà
aspettiamo solo un segno
un destino, un'eternità
Così cantava Giorgia in Gocce di Memoria, canzone che ha fatto da colonna sonora a uno dei più grandi successi di Özpetek, La Finestra di Fronte (film che aveva per protagonista una delle sue muse assenti a questo giro, Giovanna Mezzogiorno). Ed è sempre Giorgia a dar voce a Diamanti:
Forse tornerà,
la mia vita tornerà,
vestita di parole e di ricordi.
Tu promettimi che quando arriverà
senza macchia, senza età
di questa eternità saremo noi i diamanti
Dolce inno di resilienza e "resurrezione" (che riecheggia il messaggio del film) scelto per accompagnare con un tocco di poesia i titoli di coda, appena un attimo dopo che Elena Sofia Ricci ci ha mostrato l'importanza di ogni personaggio (anche se depennato dal copione) poiché la magia del cinema non sta in ciò che si vede, ma in quello che si sente.
Conta solo ciò che resta dentro di noi
Diamanti è in sostanza un omaggio alla bellezza nascosta nelle piccole cose e alla forza dei legami familiari oltreché un elogio del "corale", di tutto ciò che prende forza dall'unione.
Siamo formiche, noi, siamo piccole. Ma insieme possiamo fare tanto
Il film è anche un omaggio speciale a Mariangela Melato, Virna Lisi e Monica Vitti, attrici di punta del nostro cinema di fine secolo scorso, oggi scomparse. Özpetek rimarca la sua stima per loro nell'ultima schermata, "...sperando di poter un giorno lavorare insieme", frase che, pur essendo estrinseca alla trama, si allaccia perfettamente al senso del cinema in generale.
Come sottolineato, non sono certo io il più adatto a scrivere qualche riga sul percorso di Ferzan Özpetek, però dopo aver visionato quest'ultima opera del regista turco, posso parlarvi del suo amore per il cinema, una passione che appare smisurata, lucente, preziosa e inscalfibile, come un diamante.
E' in lista. Mi incuriosisce comunque, Ozpetek.
RispondiEliminaA me incuriosisce il tuo parere, a questo punto. A me è poaciuto tanto.
EliminaQuando ancora andavo al cinema, ovvero prima del covid, Ozpetek era sempre in cima alla lista, per me. L'ho amato profondamente. Poi mi è passata la voglia, non ci vado più. Cose che capitano.
RispondiEliminaUn decorso inverso al mio, pensa. Diciamo che questo film me lo ha fatto riscoprire. Se ne hai voglia dagli un'occasione (a mio parere merita) ma se non ce n'è fai bene a guardare altro. La scelta, per fortuna è ampia. Io non vedevo un suo film da quindici anni!
EliminaLa possibilità l'avrei avuta oggi pomeriggio, pensa. Mia cugina mi ha invitato a guardarlo con lei, ho declinato in favore di attività differenti. E niente, non riesco proprio a farmi tornare la voglia di cinema...
EliminaUn abbraccio e auguri per il nuovo anno.
Mai fare cose controvoglia quando si può evitare. Ricambio gli auguri, grazie.
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