di Bonigol
Torna al cinema, cinquant'anni dopo la sua prima volta, Picnic ad Hanging Rock, in una versione totalmente restaurata che permetterà a tutti gli appassionati di gustarne appieno ogni aspetto tecnico, fotografico e sonoro.
Il film, diretto da Peter Weir (che i più conoscono per The Truman Show e L'Attimo Fuggente) è ispirato all'omonimo romanzo di Joan Lindsay e ci racconta una storia che sprigiona tutto il fascino dell'enigma alla luce del sole ma che fa (al tempo stesso) rabbrividire proprio per quel suo senso d'indefinito e per l'ineluttabilità dei drammatici eventi che narra.
Siamo in Australia, nell'anno 1900, all'interno di un collegio femminile nel quale vige un austera linea educativa vittoriana. È il sabato di San Valentino e le collegiali si concedono momenti di spensieratezza e femminilità assumendo atteggiamenti ambigui, recitando poesie, scambiandosi estratti di lettere dei loro spasimanti e lasciandosi andare a spontanee e ingenue frivolezze. Proprio per quella mattina è stata organizzata dall'istituto una scampagnata nella suggestiva cornice rocciosa di Hanging Rock alla quale prenderanno parte anche le insegnanti di matematica e di francese. Quello stesso pomeriggio accadrà qualcosa di terribile e alcune gitanti non faranno ritorno, lasciandosi dietro una fitta nuvola di mistero che segnerà indelebilmente la vita di tutti quanti i presenti.
Picnic ad Hanging Rock è un'opera che porta benissimo i suoi anni e ancora oggi sa distinguersi per la sua bellezza visiva, per una sceneggiatura tutt'altro che banale e per la pioggia di interrogativi (fisici e metafisici) che suscita. Un mazzo di tarocchi, sfogliato da una delle ragazze, si prende la scena mentre scorrono i titoli di testa, quasi a voler spargere un pizzico di superstizione arcana sugli eventi che seguiranno. Il sole (come un ironico ossimoro) splende per quasi tutta la durata del film illuminando gli abiti bianchissimi delle protagoniste e i suggestivi luoghi immersi nella vegetazione, risultando tuttavia insufficiente a far luce sui lati più (o)scuri del dramma.
Weir è abile nel creare un forte contrasto tra la giornata radiosa e la tensione crescente, avviluppando fin dalle prime scene lo spettatore in un'aura di cattivi presagi, sensazione rafforzata dalla ipnotica malinconica melodia (un laconico flauto di pan) che accompagna i numerosi primi piani sorridenti delle giovani. La fotografia è curatissima, con immagini evocative che contribuiscono a creare un'atmosfera quasi onirica e surreale. Il ritmo lento e cadenzato permette allo spettatore di riflettere su ogni dettaglio, frase scollegata e immagine sebbene nulla, in questo film, offra una risposta facile e immediata.
La scelta di lasciare spazio all'interpretazione personale e al "dibattito", ha fatto sì che su questa storia ("impacchettata" come vera ma, in realtà, di pura fantasia) siano state fatte analisi, profonde e ricercate, dalle quali hanno preso vita diverse ipotesi. Secondo alcune teorie, il fatto che tre ragazze si allontanino dal gruppo per esplorare le rocce più da vicino, sarebbe una metafora che simboleggia la perdita dell'innocenza, nonché un segno dell'imperscrutabilità del destino e di quanto la vita sia effimera anche in giovane età. Questa tesi trova corpo anche nel fatalismo di una frase (tra le molte, "criptiche") pronunciata da Miranda, la collegiale più amata, mentre si addentra nelle aperture tra le rocce dalle quali non farà più ritorno: "C’è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine" (parole declamate prima di liberarsi da scarpe, corsetto e di ogni convenzione da gentildonna, per poi proseguire nell'inesorabile ascesa).
Il fatto che a seguire Miranda e le altre sia un'adulta (nello specifico la loro insegnante di matematica) potrebbe invece simboleggiare il tentativo (vano) da parte di chi impersona la regola, di riportarle indietro, entro i rigidi margini dei percorsi prestabiliti.
Altri appassionati, arrovellati dal dilemma (che resta l'essenza di questo film) si appellano all'esistenza di un ultimo capitolo del libro di Joan Lindsay (una sorta di "spiegone" sulla grande questione rimasta "aperta") che l'editore, con grande perspicacia commerciale, avrebbe scartato per lasciare che fosse proprio il lettore a "unire i puntini".
È, inoltre, giusto ricordarsi che ci si trova in un'Australia vittoriana, grande nazione orientale di stampo europeo, nella quale anche il vuoto ha una sua importanza (essendo in gran parte incontaminato). Proprio questo insistere del regista nell'inquadratura di buchi e grotte delle pareti di pietra lavica, oltre a trasmettere un senso di inquietante claustrofobia, dà corpo a questi spazi non riempiti facendo immaginare chissà quale epilogo per la "spedizione" delle studentesse.
Nell'idea di Peter Weir di rendere Hanging Rock un luogo mistico, rientra anche lo "spazio" non umano, ossia quello riempito dalla natura con cui gli astanti (e in particolare le ragazze) entrano continuamente in contatto, quasi una fusione. Ronzii di mosche insistenti, lunghe inquadrature di koala aggrappati agli alberi, piccoli sauri (praticamente ovunque), animali esotici percepibili anche come pericoli incombenti (varie raccomandazioni sulla presenza di serpi o minacciosi formiconi).
A incorniciare tutto questo c'è uno sfondo fatto di piccoli ruscelli da guadare, di pietre rese roventi dal sole, di foglie e arbusti ai quali viene attribuito a loro volta un elemento di mistero, come ad esempio la felce che si ritrae come le antenne di una lumaca, al tocco del giovane giardiniere Albert, nella serra, per mostrarci che anche le piante hanno un istinto e quell'istinto dice loro di riluttare l'uomo.
Non accingetevi a sfidare la complessità di questo film con la pretesa di capirne al volo ogni passaggio. Non illudetevi di poter trovare nella visione tutte le risposte che cercate. Non si tratta di un giallo, né di un thriller. Non compare Hercule Poirot, poco prima dei titoli di coda, a riepilogare per filo e per segno tutto ciò che è accaduto. Picnic ad Hanging Rock è un capolavoro che non svende i propri segreti. È come quando la vita ti spinge a domandarti il perché di ciò che accade. È come la Gioconda che ha proprio nell'enigma del suo sorriso l'elemento più seducente.
Vi resterà nelle orecchie la splendida sfuggente composizione musicale che accompagna le (dis)avventure di Miranda e "socie"; conserverete negli occhi la luce accecante della bellezza di un'età che rifulge talmente da incenerire; vi rimarrà nel cuore la sensazione di essere ancora là, tra le rocce, in cerca di chiarezza, perché Weir mette lo spettatore esattamente sullo stesso piano di chi era lì, dentro la storia. Siamo le precettrici preoccupate, le amiche collegiali arrabbiate, il rampollo (che si trovava lì per caso quel giorno) il cui sonno non sarà più tranquillo. Siamo ancora là, in sospeso come Hanging Rock (hanging significa appunto "sospeso") sopraffatti dal fatalismo di un film bellissimo ed elusivo, che ha davvero tante cose da dire e sceglie di farlo con un linguaggio tutto suo.
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