di Bonigol
Mickey 17, come spesso fanno i film diretti da Bong Joon-ho, trascende il genere, immergendosi in una profonda esplorazione dell'identità, della mortalità e del significato dell'esistenza. È una storia di psico-fantascienza fatta di peripezie introspettive che hanno per protagonista Mickey (Robert Pattinson) arruolatosi (per sfuggire a uno spietato creditore) in una folle spedizione spaziale.
Egli, pur di salvarsi dall'usuraio, accetta il ruolo di expendable (sacrificabile) dell'equipaggio, ossia colui che farà da "apripista" di fronte a ogni pericolo e situazione rischiosa fino a rimetterci la propria vita, per poi venir clonato (ricreato da un'ingegnosa stampante 3D biologica) in un cerchio senza fine, recuperando però ogni volta i propri ricordi.
Il film ci trasporta in un futuro non troppo prossimo, dove l'umanità ha colonizzato lo spazio e la tecnologia ha raggiunto livelli inimmaginabili. In un'eccezionale rappresentazione di satira politica, Mark Ruffalo interpreta il politico Kenneth Marshall, "trombato" alle elezioni e dedito a una propaganda totalitaria (quasi mussoliniana) fatta di proclami, sfruttamento dei media e promesse di un impero che è solo utopia.
È lui ad essere a capo della spedizione, quasi volesse crearsi un popolo sul quale governare. A muovere i fili di questa "marionetta" incravattata c'è la sua amata Qwen (un nome, un programma) i cui panni sono vestiti dalla sempre bravissima Toni Collette. Il loro è un progetto distopico e folle che riguarda un insediamento umano sul pianeta Niflheim (senza riguardi per le forme di vita che già ospita), obiettivo che innescherà inevitabili riflessioni sul potere esecutivo, la guerra e il "parassitismo" di chi invade un territorio. La missione di colonizzazione, presentata inizialmente come un'impresa eroica, si rivela ben presto un'operazione brutale e senza scrupoli, dove ogni forma di vita è considerata sacrificabile per il progresso.
La storia (fluida e divertente nei toni) è scandita dalla voce narrante dell'ultimo Mickey, in un racconto che contiene quindi tutte le sue personali considerazioni sul sacrificio e la "resurrezione". Infatti anche lui ha dei sentimenti, vive, ama, prova dolore. Sa di essere una cavia e s'interroga sul valore della propria esistenza.
La tecnologia (estrema) che ci viene descritta sembra aver disumanizzato la società (scena simbolica quando l'addetto alla stampante biologica si distrae giocando con un'app di gaming) e sono pochi coloro che considerano Mickey un martire.
Mickey 17, quindi, lungi dalla lotta di classe che Boong Joon-ho ci aveva proposto col pluripremiato Parasite, affronta tematiche complesse e universali, invitando lo spettatore a riflettere sulla natura debole dell'uomo e sulla responsabilità morale della scienza, oltreché sulle conseguenze dell'abuso del potere.
Tecnicamente è un film impeccabile, caratterizzato da una buona cura per i dettagli e da atmosfere suggestive e coinvolgenti (sia negli spazi chiusi che in quelli aperti). Se dovessi trovare un difetto direi che la parte "action" finale andava tagliuzzata un po'. Gli effetti visivi e sonori sono validi, contribuendo a dare vita a un mondo futuristico credibile e affascinante.
Le musiche (da camera) che accompagnano gran parte degli interventi della voce narrante creano un bell'accompagnamento, inusuale per un film di fantascienza, quasi rasserenante. Forse un omaggio a Kubrick, forse una semplice casualità.
Il regista coreano, per questa sua opera, ha attinto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton, riadattandone il mix tra dramma fantascienza e filosofia e rapportandolo alla farsesca situazione politica mondiale degli ultimi anni. Un cocktail che, grazie anche alla bravura di un cast sontuoso, è una bella sorsata di quel cinema ambizioso, sperimentale e mai banale che la scuola coreana continua ad offrirci. Piacevolissimo.
Voto: 7.5
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