Un fragile inno alla vita: alla riscoperta di Dancer in the Dark di Lars von Trier (di Bonigol)


di Bonigol

Riproposto in questi giorni nelle sale italiane, per dar modo ai cinefili di ammirare la sua nuova "veste" restaurata, Dancer in the Dark, opera di Lars von Trier risalente al 2000, non è semplicemente un film ma un'esperienza quasi catartica e profondamente toccante, un viaggio che ridisegna le convenzioni del musical per esplorare il lato più controverso dell'affetto e della condizione umana, il tutto filtrato attraverso anima e cuore di una protagonista indimenticabile.

Siamo negli Stati Uniti degli anni sessanta, nel paese di provincia dove (insieme al figlio Gene) vive Selma, un'immigrata cecoslovacca che lavora come operaia in una fabbrica di contenitori metallici. Selma è affetta da una malattia degenerativa che la sta portando progressivamente alla cecità, condizione che ha ereditato anche il suo bambino e che cerca di tenere nascosta a tutti per non perdere il suo impiego. Tutti i suoi sforzi convergono verso l'unico scopo ch'ella dà alla propria vita: accumulare abbastanza denaro da garantire a Gene l'operazione che potrebbe salvargli la vista. Sempre sincera e pronta a fidarsi di chi la circonda, Selma troverà a sostenerla l'amore di persone disinteressate ma dovrà fronteggiare anche l'egoismo di opportunisti pronti a calpestare il suo impegno per favorire i loro interessi. Un mondo di lupi e agnelli.

Von Trier, con la sua estetica Dogma 95 (anche se, in questa rappresentazione, "dribblata" da alcune "licenze"), sceglie di raccontare la storia di Selma con una cruda autenticità visiva. Le scene "reali" sono girate con una telecamera a spalla, dalla risoluzione granulosa, con taglio di riprese quasi documentaristico, espediente che amplifica il senso di disagio e mette in risalto la vulnerabilità della donna. Contrapposte a questo ritratto oppressivo della quotidianità,  irrompono con freschezza le scene di musical, come piccole deflagrazioni pirotecniche, riempiendo lo schermo di colori, coreografie e musiche partendo da semplici suoni reali come clangori metallici o il passaggio di un treno sui binari. Le canzoni vedono al centro della scena Björk (nei panni di Selma) e la sua voce particolarissima, squillante e gioiosa (nel bene e nel male) poiché queste parentesi musicali rappresentano la fuga della protagonista da una dura realtà. La sua mente rielabora la vita come un grande musical, trasformando suoni e gesti quotidiani in coreografie di danza e canto. Questa dicotomia visiva è la chiave per comprendere la psiche di Selma: il mondo esterno è caotico e impietoso, mentre il suo mondo interiore, quello della musica, è l'unico luogo dove può trovare ordine, bellezza e un senso di controllo.

La performance di Björk è semplicemente sbalorditiva. Non è un'attrice convenzionale, ma la fragilità, la determinazione e la sua capacità di incarnare purezza e l'ingenuità di Selma sono encomiabili, al netto del canto, campo (il suo) in cui sa suscitare un'emozione viscerale che trafigge lo spettatore. È attraverso la sua recitazione che il film scalda il cuore dello spettatore. Non si può non amare Selma. Non è possibile non soffrire le sue pene. 

Ottimi anche gli altri membri del cast, da Catherine Deneuve a Siobhan Fallon Hogan fino a David Morse, sempre sul pezzo.

Il film è una discesa nell'abisso della disperazione, ma anche un inno alla forza dello spirito umano. Selma è vittima di un'ingiustizia e di un sistema legale che sembra essere più miope di lei. Von Trier non risparmia allo spettatore scene di grande sofferenza poiché si pone come scopo principale quello di sciogliere i cuori e commuovere (a detta dello stesso regista) sebbene nel dolore e nella tragedia che permeano la narrazione, ci sia una sorta di bellezza oscura e irresistibile. La devozione incondizionata di Selma per il figlio e la sua determinazione (nel volercela fare da sola) sono elementi che conferiscono al film una risonanza quasi spirituale. 

Dancer in the Dark è un'opera coraggiosa e provocatoria (ben più facile comprenderla che sostenerne la visione) e il suo approccio melodrammatico, al limite del voyeurismo può risultare respingente per alcuni (Lars richiede preparazione), sebbene io trovo che proprio in questa audacia risieda la forza del film. 

È il confronto con temi scomodi, che ti spinge a riflettere sulla natura del bene e del male, e sul significato ultimo del sacrificio. Al termine della visione, si è svuotati, forse scossi, ma innegabilmente arricchiti da un'esperienza cinematografica indimenticabile. Dancer in the Dark è un lamento, un grido straziante e, allo stesso tempo, un fragile inno alla vita, che passa attraverso la lente distorta e geniale di Lars von Trier e punta dritto al cuore.


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