Cinema e dintorni: La dea fortuna (di Claudio D'Aleo)


Ci sono dei film che ti entrano “dentro” e ti lasciano qualcosa di significativo su cui riflettere. Qualcosa su cui edificare momenti di “consapevolizzazione” desiderati ma talvolta rincorsi invano. Siamo figli di una frenesia che non ha soste. “La dea fortuna” di Ferzan Ozpetek  ha avuto il pregio, non indifferente, di far entrare in alchimia, in ognuno di noi,  sentimenti ed  emozioni che spesso ristagnano inermi nei “cassetti” più appartati della nostra interiorità. Ma non solo questo.

Foto da Repubblica.it

“Dietro le quinte” di una storia

Il capolavoro di Ozpetek è stato precursore di tutto quello che, a livello squisitamente emotivo, stiamo vivendo adesso a causa di un virus che sta sconvolgendo tutti noi e l’umanità intera. Stiamo finalmente capendo, in colpevole ritardo, cosa è la vita. Stiamo capendo che nessuno ne ha una di riserva e che la vita che dobbiamo vivere al meglio delle nostre possibilità è solo questa e non può essere un’altra. Abbiamo compreso che il giorno vissuto è unico e non è uguale a nessun’altro, e che quello che trascorriamo male oggi non ci verrà restituito domani ma andrà perso. Semplice ma complicato al contempo. Siamo umani, sbagliamo. Quelli che hanno disprezzato la vita sono gli stessi che adesso la rincorrono timorosi di perderla. Niente ci condiziona più di tutto quello che prima potevamo fare e che adesso ci sfugge di mano, ci viene tolto. Rinunciare a qualcosa era impossibile. Tutto e subito come se ognuno fosse Dio di se stesso. Dovevamo fermarci. Lo stiamo facendo non senza pagare un prezzo elevato.

Squarci di interiorità

Ne “la dea fortuna” ciò che adesso stiamo rivalutando a causa delle odierne difficoltà “planetarie”, lo troviamo “parcellizzato” sull’amore, sugli affetti e sulle buone intenzioni in genere. Ozpetek ci ha insegnato che quello che conta nella vita non è il denaro, non è l’edonismo, non è l’egoismo. Quello per cui conta vivere è il “buon sentimento” e tramite i buoni sentimenti, la ricerca del “bello” attraverso i valori.  Nel racconto troviamo l’amore valorizzato e spalmato in ogni ambito del nostro vivere con particolare riguardo ai rapporti umani. L’amore tra due uomini. L’amore “etero”. L’amore tra amici. L’amore tra adulti e bambini. L’amore puro, sincero, pulito, disinteressato, capace di donare senza nulla pretendere. L’amore che nasce dalla stima e dall’affetto reciproco e che è anche riconoscenza, gratitudine, semplicità. L’amore che fa soffrire, che fa litigare ma che rimane pur sempre amore perché unisce, perché “chiarisce”. L’amore come dovrebbe essere. Baci, abbracci e tenerezze  trovano in quella storia la giusta, necessaria “cittadinanza”. Quella che un po’ tutti, oggi, faremmo bene a “riesumare”. L’amore è impaziente, nemico dell’orgoglio. Va sprigionato quando possiamo e senza indugi e non dopo perché domani potrebbe essere già troppo tardi.  

Il sentimento trasmigra in “essenza” 

Nel film i due protagonisti maschili sono Alessandro (Stefano Accorsi) e Arturo (Edoardo Leo). Stanno insieme da più di 15 anni e hanno vissuto, come tanti altri, una forte passione poi levigata e modificata dal trascorrere del tempo. I momenti focosi e l’amore sono diminuiti lasciando spazio soltanto ad un grande vuoto. Negli ultimi tempi, il loro legame sembra non riuscire più a superare alcun ostacolo, trascinando il rapporto in una logorante crisi relazionale dalla quale nessuno dei due riesce ad uscire. Un giorno Annamaria (Jasmine Trinca), la migliore amica di Alessandro lascia in custodia a lui e al suo compagno i due figli e l'improvviso arrivo dei bambini nelle loro vite dà una svolta alla coppia in crisi e alla noiosa routine in cui erano caduti. Annamaria poi morirà lasciando i bambini ad Alessandro e Arturo che arriveranno nel tempo a compiere una scelta “folle” ma in cuor loro desiderata. I due si terranno i bambini che, nel frattempo, hanno imparato a voler bene ai loro insperati nuovi “genitori” non volendosene più distaccare. E’ l’elogio dell’affetto che diventa amore nascondendo in sé un briciolo di “pazzia”.

L’amore vissuto come bisogno

L’amore è sofferenza ma anche medicamento. E’ cura dell’altro e rispetto reciproco. L’amore va alimentato ogni giorno come se fosse una piantina, un fiore. Va da sé che tutto quello che si conquista per il tramite dell’amore è frutto di sacrificio, di delicati percorsi interiori che “profumano” di tenerezza e che per questo rendono ogni “conquista” unica e particolare, ogni affetto importante tanto quanto un amore. Amicizia può significare amore. Ozpetek fa intendere tutto questo a chiare lettere. Ne “la dea fortuna” trova forse soluzione uno degli interrogativi più fluttuanti dei nostri tempi, e cioè se sia possibile scorgere l’amore tra un uomo e una donna o, comunque tra due compagni o due compagne, convinti di stare insieme per amicizia. Leggendo tra i “passi” della “relazione” tra Alessandro e Annamaria ci convinciamo sempre più che le migliori storie spesso nascono tra amici. L’amore vuole “garanzie”. E solo in un rapporto amicale/affettuoso tra uomo e donna o tra persone dello stesso sesso che si vogliono bene e non riescono a stare lontane gli uni dagli altri riesci a scorgere quelle “garanzie” che è giusto desiderare per vivere in serenità e armonia un dato rapporto. Ci sono amori che devastano e fanno poltiglia di noi e dei nostri sentimenti. Altri che rasentano l’autolesionismo puro ma che vanno vissuti quasi fossero treni che non passeranno mai più. E’ l’irrazionale che alberga nel sentimento amoroso alimentandolo e che rappresenta il “sale” e il “pepe” di ogni rapporto.

L’eterno conflitto tra bene e male

Nel film l’amore ha la meglio sulla passione ma anche sulla cattiveria e diventa terreno di scontro tra bene e male. Non puoi costruire una casa partendo dal tetto. Allo stesso modo non puoi edificare un rapporto sentimentale partendo dalla passione. Quelli sono altri rapporti, “spendibili” ma sostanzialmente opposti. In fondo se l’amore trova la strada spianata dall’affetto non è certo un problema, anzi. Quando Annamaria muore a causa di una brutta malattia i bambini vengono affidati alla nonna, una donna cattiva e parecchio egoista che già aveva influito negativamente sulla personalità e sulla crescita della figlia. Qui è il bene a prevalere sul male e Alessandro e Arturo riusciranno a togliere i bambini dalle grinfie della nonna e a portarli con sé non senza l’aiuto dell’amore. Quando Alessandro e Arturo s’erano arresi alla cattiveria della donna, il piccolo, ben sapendo che Arturo eccelleva come idraulico e non volendo rimanere in alcun modo in quella casa, va in cucina, rompe un rubinetto, provoca una forte perdita d’acqua e dà la stura al passo indietro dei due ragazzi che vanno a riprendersi i bambini. Impossibile potesse accadere senza amore. Per la felicità di tutti e il trionfo del bene e dei buoni sentimenti sulla malvagità. Un ottimo film, dunque; da vedere e, possibilmente, rivedere.

Claudio D’Aleo

Commenti

  1. Ferzan Ozpetek ? Ricordo Napoli velata. Un film molto complesso con tantissime chiavi di lettura.

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    1. Io sul cinema di Ozpetek sono completamente ignorante. Ben venga il pezzo di Claudio per farmi conoscere la sua ultima opera 😁

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  2. Ferzan Ozpetek è il mio regista preferito. L'unico, per me. L'unico che mi tenga incollata da qualche parte.
    Andai a vedere il film al cinema. Lo trovai un po' noioso in alcune parti, ma certamente saturo di tutte quelle cose che Claudio ha così ben descritto qui. E poi, bellissima la colonna sonora.

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    1. Con il cinema litigheremmo quindi :D (no scherzo, io alla fine di Ozpetek non ho visto nulla).
      Mi fa piacere che anche questo post ti sia piaciuto :)

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  3. Oh ma 'sto povero Claudio ora lo sfrutti anche per altri argomenti, non ti bastava il calcio?
    Non me ne voglia ma se becco Ferzan gli tiro uno schiaffo e lo lascio là per terra. Gliel'ho promessa dopo quei 2 o 3 film di merda che ho provato a guardare, sicuro Le Fate Ignoranti e Saturno Contro, il terzo non mi ricordo (grazie a Dio).
    Cazzate a parte, fa film particolari e gli si riconosce un'impronta (come Almodovar, strano ma che preferisco e non sempre), ma non fanno per me.

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    1. Invece è stato Claudio a chiedermi di scrivere anche di cinema :).
      Insieme abbiamo concordato un post a settimana tra Ritratti (calcistici) vol.II, cinema e poesie.
      Su Ozpetek sono totalmente ignorante e il cinema italiano attuale non è che mi entusiasmi molto! Viva gli anni '70 :D

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  4. Sono molti i film interessanti di Ferzan Ozpetek .
    Sereno pomeriggio.

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    1. Dovrei colmare dunque questa mia grande lacuna. Grazie Cav!

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  5. Io ho visto solo La Finestra Di Fronte e devo dire che all'epoca mi piacque tantissimo.
    Questo se mi capita, lo recupererò.

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    1. Mi sa che la finestra di fronte resti il film n.1 di questo regista!

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  6. Questo di Oz non l'ho ancora visto. Noto come la tematica gli sia comunque cara... Lo devo vedere.

    Moz-

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  7. Un post interessante soprattutto per il collegamento alla situazione in cui stiamo vivendo .

    Condivido pienamente la prima parte del post .

    "Rinunciare a qualcosa era impossibile. Tutto e subito come se ognuno fosse Dio di se stesso. Dovevamo fermarci. Lo stiamo facendo non senza pagare un prezzo elevato."

    Condividevo proprio ieri altrove lo stesso senso di queste parole...e non credo che ciò che viviamo sia frutto del caso ma è una causa ...la causa dei nostri errori ,inutile girarci intorno.

    Di questa situazione attuale , dell 'accostamento al film ma soprattutto al senso dell'amore su cui tutto dovrebbe basarsi è un intreccio di fili sul quale ne vale davvero la pena soffermarsi e riflettere.


    La seconda parte se ho capito bene è una delle possibili chiavi di lettura di un film che onestamente non conosco...ma da come Claudio lo ha approfondito ha lasciato la possibilità anche a me di riflettere .Quello che più mi ha colpito è il "messaggio" che possa passare dalla visione di un film e sono d'accordo con chi ha scritto che nel film possano esserci diverse chiavi di lettura.

    Buona serata

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    1. Ciao cara, mi fa molto piacere che gli scritti di Claudio siano motivo comunque di riflessione e che suscitino sensazioni positive.
      Anche a me ha colpit oquella frase che citi.
      E ho l'auspicio che sia così: che la quarantena ci abbia insegnato qualcosa, ad apprezzare più le piccole cose, a ricordarci il valore della solidarietà.
      Ho anche però paura che finita l'emergenza si riaffermi un individualismo sfrenato.
      Ma la paura non frena i buoni auspici :)

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