Ritratti: Walter Zenga, da erede di Albertosi a giramondo in panchina (Claudio d'Aleo)


Dietro le “quinte” del Campione

Walter Zenga è nato a Milano il 28 aprile del 1960. Alto 188 cm. pesava 84 kg. Ha giocato nell’Inter dal 1982 al 1994 e vi ha collezionato 328 presenze. Con i nerazzurri ha vinto 1 Scudetto (1988-1989), 1 Supercoppa italiana (1989) e 2 Coppe Uefa (1990-1991 e 1993-1994). Nel 1989, nel 1990 e nel 1991 è stato premiato come miglior portiere dell’anno IFFHS (International Federation of Football History & Statistics). Nel 1990, con gli azzurri allenati da Azeglio Vicini, s’è classificato al terzo posto durante i Mondiali di calcio svoltisi in Italia. Con la Nazionale ha inanellato 58 presenze e vi ha giocato dal 1986 al 1992. Ritiratosi dal calcio praticato nel 1999, ha lavorato come allenatore in diverse squadre, anche straniere, con alterne fortune. In Italia Zenga ha allenato il Catania (2008-2009), il Palermo (2009), la Sampdoria (2015), il Crotone (2017-2018) e il Venezia (2018-2019). Attualmente è l’allenatore del Cagliari.

Zenga gonfia il petto in segno d' esultanza

Zenga era grinta, coraggio, divertimento “puro”. E’ stato uno dei migliori portieri italiani, certamente tra i più discussi. Impossibile non parlare d’un portiere, fantastico tra i pali, duro il “giusto” e considerato l’unico vero erede del grande Enrico Albertosi, uno dal carattere di “ferro”, uno che non s’è mai fatto passare una mosca sotto il naso. Walter Zenga come Albertosi, dunque. Non solo. Zenga come Boninsegna. Altro “grande” interista seppur in un ruolo completamente diverso: “Bonimba” è stato un ottimo centravanti, uno di quegli attaccanti che non passano mai di moda. Caratteristiche a parte il carattere di Boninsegna era noto a tutti e i tifosi dell’Inter se lo sono ritrovato “parcellizzato” in Zenga nelle “dosi” che sappiamo. Walter è stato non solo un magnifico portiere, non solo un acrobata senza timore tra i pali ma soprattutto è stato uno che non le ha mai mandate a dire.

Zenga esulta
Da “deltaplano” a “Uomo Ragno”

Il suo modo di parare ha sempre stuzzicato la fantasia di tutti, sia dei critici che dei tifosi. Per Gianni Brera fu “deltaplano”; per i tifosi, l’”Uomo Ragno”. Zenga non è mai passato inosservato. Acrobata in campo e nella vita ha sempre affrontato ogni “spigolosità” con il giusto ardore. Tutto si può dire di Zenga  ma mai che non abbia avuto “fegato” o che non ci abbia messo la faccia ovunque sia andato e qualunque cosa abbia fatto. Il Campione interista è passato alla storia pallonara per aver dato al ruolo del portiere una duplice connotazione. La “follia” e la “spregiudicatezza” del ruolo e la grinta “sfrontata” di un attaccante senza paura. Zenga, tra i pali, si trasformava. Non per nulla gli fu affibbiato il soprannome di “Uomo Ragno”. Guidava i compagni e i compagni si “caricavano” guardando lui. Ha amato l’Inter e il suo ruolo con passione da tifoso e molti analisti ancora oggi credono che Zenga nella vita non avrebbe potuto fare altro se non il “portiere” dell’Inter. Del portiere “incurante dei pericoli” aveva tutto: le doti atletiche, quelle acrobatiche, il pizzico di presunzione che in quel ruolo specifico deve per forza esserci e la poco comune bravura. Zenga era agile come un gatto. “Selvatico”, magari, ma bravissimo. Tra i pali divertiva ed entusiasmava qualunque cosa facesse. I suoi “voli” erano plastici e parecchio eleganti.

Zenga in borghese
Non amava molto giocare la palla coi piedi. Amava esprimersi solo con le mani. In lui l’esaltazione per il “tuffo” disinvolto ha sempre avuto la meglio sulla ponderazione. Walter Zenga aveva una sua idea del ruolo e non ne ha mai fatto mistero. Per lui il portiere doveva essere “istinto” più che “pensiero”, “sregolatezza”, più che “genio”. E questa sua concezione la palesava nella “sua” area piccola, quando si buttava sull’avversario che stava entrando in area di rigore oppure quando organizzava la barriera o si sistemava in porta durante i calci d’angolo o i calci di punizione.

Un'uscita di Zenga contro l'Ascoli

Quando il leader gioca in porta

Nelle sue giornate migliori Zenga parava tutto, anche l’impossibile. All’incrocio dei pali, così come all’angoletto più “sperduto”, lui le sue “manacce” le piazzava sempre. Da insuperabile a “colabrodo” ci stava un attimo. Le sue “papere”, seppur rare, erano il frutto di un conflitto interiore che in lui si allargava a macchia d’olio a seconda delle giornate e dello stato d’animo vissuto. “Essere o non essere” il più forte di tutti. Fu questo il suo dilemma e anche il suo limite. Amato dai tifosi dell’Inter, temuto e invidiato da tutti gli altri, Zenga avrebbe potuto raccogliere, in carriera, molti più trofei e molti più applausi di quanti non ne abbia effettivamente raccolto. Colpa del carattere, dice qualcuno. Colpa di quella “papera” su Caniggia a Italia ’90, sostiene qualcun altro. Quel Mondiale giocato in casa rappresentava per Zenga, ma non solo per lui, l’occasione da non perdere per imporsi a livello internazionale. E così fu fino a un certo punto della Competizione, cioè fino alla partita giocata a Napoli contro l’Argentina di Maradona persa ai rigori e terminata tra tante polemiche. Per molti perdemmo quella sfida e il Mondiale nel momento in cui Zenga sbagliò l’uscita e favori il pareggio di Caniggia, di testa, nei tempi regolamentari. In quel Torneo, “papera” a parte, Zenga riuscì a mantenere il suo record di imbattibilità per 517 minuti consecutivi. Un bel risultato, mica quisquilie. Un traguardo personale e di squadra che non bastò per il  Titolo finale, nonostante quella formazione, forte e ben allenata, non perse neanche una partita in quel Mondiale. Il momento più bello della carriera di Zenga in Nazionale si miscela dunque ad uno dei ricordi più brutti in assoluto per tutta la Nazionale e i suoi tifosi. Quella papera non gli fu mai perdonata. Zenga fu comunque protagonista di quel Torneo che consacrò le abilità di Totò Schillaci bomber di quella squadra non certo per “caso”.

Il celebre gol di Caniggia

Zoff, Albertosi, Tacconi e Pagliuca

Fino a quel momento il ruolo del portiere aveva avuto tantissimi protagonisti e ognuno ha vestito quei compiti con abiti diversi, i propri. Zoff fu il senso della posizione e la grande freddezza tra i pali. Bravissimo, di poche parole e imperturbabile, il mitico Dino fu muro invalicabile di Napoli e Juventus e Capitano dell’Italia Campione del Mondo in Spagna nel 1982. Albertosi fu l’opposto di Zoff caratterialmente, soprattutto fu acrobata impavido e spettacolare capace di qualunque prodezza. Vice Campione del Mondo in Messico nel 1970, si arrese come i suoi compagni, in finale, al grande Brasile dell’immenso Pelè. Zenga fu il continuatore di quelle pregevoli interpretazioni e con le sue parate seppe far sognare ogni vero sportivo. In carriera fu rivale ma molto amico di Stefano Tacconi, altro bravissimo protagonista tra i pali e “saracinesca” della Juventus di quei tempi. Zenga e l’Inter non si sono lasciati benissimo. Quando Ernesto Pellegrini, nel 1994, scelse di cambiare portiere e affidare la porta dell’Inter a Gianluca Pagliuca (allora  portiere della Sampdoria) nonostante il parere contrario dei tifosi, tra Zenga e la squadra nerazzurra si ruppe qualcosa. Un qualcosa di importante che ancora oggi nessuno è riuscito a ricomporre.  

Claudio D’Aleo

Zenga nell'Inter 1993-94

Commenti

  1. Risposte
    1. Un grandissimo, concordo!
      Saluti a presto.

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    2. Da tifoso rossonero, ho sempre avuto grande stima di Zenga. E poi era una persona davvero simpatica :)
      grazie ragazzi, buona giornata a voi!

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    3. Meglio come portiere che come allenatore, senz'altro :D Anche se qualcosetta in qualche campionato estero "minore" è riuscito a vincerla

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    4. Infatti meglio come portiere, nonostante l'uscita sbagliata a Italia '90 :D

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