"Viaggio a Roma" di Alberto Moravia è un romanzo estremamente scorrevole, dai risvolti pruriginosi, che lascia comunque più di una suggestione al lettore. L'intreccio narrativo è complesso, ben sciolto dall'abilità dello scrittore: rimane un po' la sensazione di incompiutezza.
Incompiuto d'altra parte è il protagonista Mario, ventenne italiano trapiantato in Francia e orfano di madre. Mario torna in Italia, su invito del padre, che è intenzionato a ricostuire una famiglia, sposandosi con la quarantenne Esmeralda, donna nella quale rivede (a torto, a quanto pare) l'immagine dell'ex moglie. Nel contempo il giovane non si libera del ricordo, da bambino, della madre intenta in un rapporto sessuale con l'amante; ed è convinto che per liberarsi di questo fardello, sia necessario un rapporto sessuale con una donna, che lui dovrà immaginare essere la madre. Quale donna? La quarantenne Jeanne, incontrata sull'aereo per Roma? La figlia quattordicenne di quest'ultima, Alda? O la stessa Esmeralda? La risposta arriverà a fine libro.
Le tematiche degne di nota sono diverse. Al di là del complesso edipico, del tema della memoria e del ricordo, significative sono le riflessioni della famiglia. I genitori di Mario erano estranei, "indifferenti" l'uno all'altra ("Gli indifferenti" è anche il titolo di un capolavoro Moraviano). Vivevano due vite parallele, lei con numerosi amanti, e per il padre di Mario l'onta non era quella del tradimento, ma quello di essere escluso dalla vita della donna. E qui emerge un lato dell'incompiutezza del romanzo: da dove nasce questa estraneità? Alda sogna una nuova famiglia per se stessa e la madre; Mario, nonostante sia poco più che maggiorenne, e ancora acerbo, viene visto come un "surrogato" di un padre (addirittura padre un giorno e marito un altro, da Alda). La famiglia non può però essere derubricata a un gioco, all'indossare le maschere da moglie e da marito, al vivere insieme per colmare un vuoto; è un'istituzione fondata sull'amore e sul rispetto reciproco. Alda soffre per l'assenza di una figura maschile adulta nella sua vita; Jeanne sembra una vedova inconsolabile. Ma è proprio quest'ultima mette a nudo l'ipocrisia della società: ella non è vedova inconsolabile, finge di esserlo. Una messa in scena per una società in cui il matrimonio è spesso una convenzione. Jeanne, tradita dal marito ucciso in un incidente stradale, proprio mentre faceva visita all'amante, non vuole più amare perché si rende conto poi di soffrire senza essere amata. Una conclusione pessimistica, ma anche uno scudo per proteggere se stessa dai rischi: Mario infatti è "dolce, comprensivo, timido, intelligente", tuttavia c'è il rischio che possa diventare "l'amante della figlia". D'altro canto l'amore è anche un fatto di chimica, spiega Mario, e con Jeanne quella "molla" non scatta. Jeanne certo è diretta verso una infelicità consapevole; Mario, invece, ha la possibilità di fare tesoro degli errori compiuti nel viaggio a Roma e di dare una svolta definitiva alla sua vita sentimentale. Il padre è il grande sconfitto della storia: il suo nuovo amore rischia di essere surrogato di un amore che non c'è più e lui rischia di scomparire sotto la maschera del "burattinaio" (così si definisce): l'uomo che combinava gli incontri tra la moglie e e l'amante (il socio) con lo scopo, disperato, di fare parte della vita parallela della donna.
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