L'ingorgo: il male viaggia tra le automobili ferme. La recensione del film di Luigi Comencini


Film del 1978 diretto da Luigi Comencini, "L'ingorgo" è un impietoso ritratto, realizzato attraverso una metafora, dell'Italia anni '70. La vita sulla nostra Penisola è infatti raccontata tramite le vicende di persone di diversa estrazione sociale che, loro malgrado, rimangono bloccate per ore in un ingorgo stradale sul grande raccordo anulare di Roma. Ne esce un film dai toni grotteschi, ma soprattutto cupi: d'altro canto le automobili, a fine film, sembrano nuovamente bloccate in coda, dopo un illusorio tentativo di ripartenza. Non c'è possibilità che le cose possano cambiare in meglio, in Italia. Un'Italia caratterizzata da un conflitto tra classi sociali.


Luigi Comencini, d'altro canto, aveva già raccontato la lotta tra ricchi e poveri in diversi film, tra i quali "Lo scopone scientifico", dove i protagonisti, la milionaria americana (Bette Davis) e i due coniugi romani di borgata (Alberto Sordi e Silvana Mangano), sono personaggi negativi e poveri di virtù, accomunati peraltro da un certo infantilismo (la milionaria vuole continuare a giocare nonostante le condizioni precarie di salute, la coppia nonostante un ricco bottino già strappato all'avara avversaria). Anche ne "L'ingorgo" ricchi e poveri danno il peggio di loro. Tra i primi troviamo l'imprenditore interpretato da Alberto Sordi, che cerca di cavarsela, tra piccole furberie e richieste di "una mano" ai suoi altolocati contatti, fregandosene altamente di tutti gli altri; i tre giovani figli di papà che viaggiano in Range Rover, protagonisti della scena più brutale del film, lo stupro della giovane Martina (Angela Molina), hippie che durante la sosta forzata era entrata in confidenza con un giovane impegnato nel trasporto di un carico di omogeneizzati: un evidente richiamo al massacro del Circeo.




Ma in quella scena a creare rabbia e sconforto è la reazione omertosa di quattro uomini (armati), che assistono alla scena senza intervenire e che fingono poi di dormire quando i tre stupratori incrociano i loro sguardi, ritornando al loro Range Rover. Solo uno dei quattro propone di usare la pistola per sparare colpi in aria; il secondo lo ammonisce di non farlo, perché il porto d'armi lo hanno preso "per difendere se stessi e le proprie famiglie"; il terzo si limita a chiedere di spegnere i fari per non assistere alla scena dello stupro; il quarto invece chiede più luce e addirittura riprende gli amici, evidenziando che "nell'Europa dell'Est ci sono persone che pagano per vedere due che scopano". In queste quattro persone è rappresentata l'omertà, il voyeurismo, la vigliaccheria, l'egoismo del mondo borghese, la cui mediocrità è rappresentata anche da matrimoni fallimentari (Franco - Gérard Depardieu tradito dalla moglie Angela con l'amico professore, un Ugo Tognazzi particolarmente sottotono) e da sentimenti di odio repressi che si sfogano in litigi nati per banali motivi (la coppia formata da Carlo - Fernando Rey - e Irene - Annie Girardot). Ma come detto, anche i poveri sono persone moralmente discutibili.


La famiglia di napoletani ruba bottiglie e omogenizzati per rivenderli, da bravi sciacalli, agli altri automobilisti; una delle componenti di questa famiglia, una ragazza incinta e aspirante cantante, recede dai suoi propositi di non abortire, quando viene scritturata dall'imprenditore Sordi (che in realtà ha mire sessuali su di lei). E' facile quindi riempirsi la bocca di buoni propositi per poi svuotarla quando entrano in gioco le convenienze personali. Abietto infine il comportamento di Pompeo (un eccezionale Gianni Cavina) che praticamente vende la moglie (Teresa, Stefania Sandrelli) affinché l'attore loro ospite, Marco Montefoschi (Marcello Mastroianni) possa in cambio fare ingaggiare l'uomo come autista a Cinecittà, sottraendolo alle miserie e alle fatiche del lavoro in cantiere. Poveri quindi che sono pronti a fregare il prossimo o a qualsiasi tipo di compromesso pur di migliorare la propria condizione economica. D'altro canto è emblematica la scena in cui le persone (i poveri e i borghesi), come zombie, assediano l'automobile dell'attore (il ricco), il quale risponde con sorrisi di circostanza, mentre maledice i suoi stessi fan. Chi ha ragione e chi ha torto? 


Non ci sono ancore di salvezza ne "L'ingorgo": i buoni come Martina e l'amico (picchiato dagli stupratori) sono vittime due volte, prima della cattiveria e poi dell' omertà (il ragazzo infatti chiede aiuto ai quattro uomini che avevano assistito alla scena di testimoniare, non ottenendo risposta); quella stretta di mano che si scambiano a fine film, dai finestrini, è la scena più struggente, un filo conduttore tra tutte le persone che nella quotidianità, sono vittime - senza giustizia - delle prevaricazioni altrui.


I bambini, che hanno un ruolo fondamentale nei film di Comencini, rimangono questa volta sullo sfondo. Durante l'ingorgo, giocano spensierati, senza preoccuparsi delle automobili bloccate e di non poter raggiungere la metà, inconsapevoli del male che si aggira, tra quelle stesse auto. Il pessimismo del film è riassunto perfettamente dalla preghiera del predicatore hippy, un pacato (nei toni) e allo stesso tempo furioso attacco (nell'essenza delle parole) diretto alla società italiana degli anni '70

Salvaci dalla plastica, dalle scorie radioattive, dalla politica di potere, dalle multinazionali, dalla ragione di stato, dalle parate, dalle uniformi e dalle marce militari, salvaci dal disprezzo per il più debole, dal mito dell'efficienza e della produttività, dai falsi moralismi, dalle menzogne della propaganda.

Commenti

  1. Uei mitico!! Questo è uno dei miei film cult. La predica finale vorrei quasi stamparla e appenderla in camera :)

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  2. L'italietta di oggi, quella fascista di La Russa e Meloni, è di gran lunga peggiore di quella fotografata da Comencini.

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    1. Secondo me, invece, corsi e ricorsi storici, certe situazioni si stanno riproponendo. Rendendo attuale anche ciò che non sembra più attuale

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  3. Bel film, certe cose saranno sempre attuali perché sono le normali contraddizioni dell'essere umano.
    Il termine borghese, però,non ha senso ormai nel 2023 è anacronistico perché quasi tutti ormai in occidente Hanno uno status medio Borghese, poi c'è il borghese buono e quello cattivo, inutile fare queste classificazioni che seminano odio; il proletario rozzo non c'è più.
    È pieno di ricchi Borghesi di sinistra!

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    1. Ciao Dado, anzitutto grazie! Riflessione interessante: io credo che qualche decennio fa il termine fosse ancora significativo, oggi invece no, la classe media si sta impoverendo, come hai detto tu i proletari sono in via di estinzione. Ma tutto sommato io mi sento un "borghese" a pieno titolo, mentre I ricchi borghesi di sinistra sono un'alta borghesia, in sostanza.

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    2. Grazie per la segnalazione del refuso, correggo subito

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