Caro Papà con Vittorio Gassman: film incompiuto ma con una perla finale


"Caro Papà", film del 1979 di Dino Risi, è considerato dalla critica un film incompiuto, nonostante l'interpretazione di Vittorio Gassman, nei panni del protagonista, il ricco ingegnere Albino Millozza. Siamo in un'epoca in cui la grande commedia all'italiana è tramontata, si avvicinano gli anni '80, e "Caro Papà" è in effetti un film crepuscolare, con troppa carne al fuoco: il fulcro è il rapporto tra Millozza e il figlio Marco (Stefano Madia), il tema sullo sfondo è quello del terrorismo "rosso", ma c'è (poco) spazio anche per la figlia Costanza, affetta da tossicodipendenza, che vive in una "comune", prima di trasferirsi in India, seguendo la moda new-age dell'epoca. Il ricco soggetto, a cura di Risi e del figlio Marco, nonché di Bernardino Zapponi, non si traduce in una sceneggiatura all'altezza e i tanti personaggi non sono caratterizzati a sufficienza. Il clou, come è noto, è l'attentato pianificato nei confronti di P. (questa l'iniziale che campeggia nel diario segreto di Marco), che non è Parrella, il socio di Millozza, ma quest'ultimo (P. sta per padre, evidentemente); tuttavia è possibile che un gruppo di terroristi italiani abbia i mezzi per mandare un sicario in Canada, sulle tracce della vittima, impegnata in un viaggio di lavoro?


Le ore precedenti l'attentato


La scena dell'attentato è comunque di impatto, preceduta da momenti di febbrile attesa (lo spettatore è convinto che al protagonista arrivi la notizia dell'attentato, non che sia lui la vittima...). Segue il lento epilogo finale, con il ritorno a casa di Millozza, sulla sedia a rotelle, e l'incontro tra padre e figlio. Qualcuno l'ha ritenuta una scena patetica, io l'ho trovata di impatto, commovente. Le lacrime che solcano entrambi i visi, il figlio che a un certo punto abbozza un sorriso, quasi un conforto verso il genitore. Il dualismo padre-figlio, in effetti, viene poco approfondito: Marco è spesso assente, dalla narrazione cinematografica. Abbiamo dei filmini proiettati in una "Reunion" di famiglia in cui vediamo il padre giocare a calcio con il figlio e i suoi amici, segnando un gol di mano. Una metafora forse degli inganni fatti dall'uomo, ex partigiano, per scalare le posizioni sociali? Oppure un gesto di prepotenza in virtù della sua autorità paterna? Quali sono, in effetti, le motivazioni che spingono il figlio di un ricco esponente dell'alta borghesia ad abbracciare gli ideali di un gruppo di terroristi? In effetti il film fa anche confusione tra manifestanti e terroristi, mettendo tutti nello stesso calderone. Ma quel finale ha il merito di riportare al centro le persone. Disabile, spogliato del suo ruolo di spietato affarista e di latin-lover (nel film ci prova, con successo, con Laura, una 27enne amica del figlio), Millozza torna a essere un uomo, agli occhi del figlio, con le sue sofferenze, con l'inusuale mutismo provocato dallo shock dell'attentato. Il sentimento di pietà riporta il figlio sulla strada dell'amore verso il genitore, anche se a un prezzo carissimo. Un finale quindi tutt'altro che patetico o scontato, che salva un film effettivamente incompiuto. 

Laura e l'ingegner Millozza

L'ingegnere in visita alla "comune"



Commenti

  1. Risposte
    1. Infatti è poco noto! Anche se sono tematiche a me molto care

      Elimina
  2. Gassman negli ultimi anni doveva essere abbonato al ruolo di ex partigiano diventato industriale. Aveva interpretato lo stesso ruolo in "C'eravamo tanto amati".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi rendo conto ora di non aver visto questo film che è considerato il capolavoro di Risi :O

      Elimina

Posta un commento