Buone notizie: l'ultimo film di Elio Petri, nichilista e post apocalittico (Analisi con spoiler)


"Buone notizie" (1979) è l'ultimo film di Elio Petri, scomparso nel 1982 a 53 anni. E' una pellicola surreale, criptica, ma sicuramente nichilista. Non sembra esserci salvezza, nell'Italia di fine anni '70, quella che si avvia alla fine degli "Anni di piombo". Le buone notizie sono quelle che trasmettono i televisori dell'ufficio del protagonista, un dirigente televisivo senza nome interpretato da Giancarlo Giannini: stragi, attentati, incidenti. Il titolo è ovviamente amaramente sarcastico: oramai l'italiano (non solo quello medio) si è assuefatto alla violenza, così le minacce di bombe che arrivano in via telefonica e che costringono all'evacuazione della palazzina in cui si trovano gli studi televisivi, vengono accolte senza troppa preoccupazione da dirigenti e dai loro sottoposti, che si ritrovano in un parco colmo di immondizia a giocare spensierati. L'italiano è oramai anestetizzato al clima di violenza e terrore. Anche se la popolazione passeggia portando al guinzaglio cani aggressivi e di grossa taglia (anche loro influenzati da questo clima o semplicemente un mezzo di difesa?) e l'immondizia è sparsa ovunque, simbolo della società consumistica e capitalistica. Il modello americano ha oramai preso piede ed è un processo irreversibile. D'altro canto una chiave di lettura evidente è un discorso del protagonista rivolto alla moglie:

"Io non capisco perché cazzo noi due continuiamo a stare insieme. Figli non ne vogliamo per non mettere al mondo altri infelici. Rapporti sessuali..squallidi e casuali. Sussiste soltanto il problema di come spartirci i beni materiali, perché sono dispari: tre, frigorifero, televisore e giradischi".

Il cibo dunque, ma anche forme di intrattenimento quali musica e soprattutto la televisione, che diventerà sempre più predominante nella vita dell'italiano medio: non c'è traccia ad esempio dei libri, dunque della cultura. Sappiamo bene che l'Italia degli anni '80 non vivrà una situazione post-apocalittica, ma quella del benessere apparente del boom degli anni '80. "Il gas esilarante che presidia le strade" (la televisione commerciale e i suoi prodotti di intrattenimento) e "gli spargimenti di detersivo" che sostituiscono quelli di sangue, la normalizzazione che subentra agli anni di piombo e una pace "terrificante", citando Fabrizio De Andrè e il suo capolavoro "La domenica delle salme". E se gli uomini borghesi si erano rifugiati nel proprio giardino (usando la metafora del Candido di Voltaire), ora, in "Buone notizie", si ritrovano a soffocare in quel giardino. 

Petri, dunque, focalizza la sua analisi sull'uomo. Ed è un ritratto impietoso, quello del protagonista interpretato da Giannini: un uomo appartenente a una borghesia medio-alta, nevrotico, infedele, incapace di affrontare i problemi coniugali e altresì di trovare soddisfazione sessuale, fragile e disorientato di fronte a una donna non più sottomessa al modello della famiglia patriarcale, emancipata (i topless in spiaggia della moglie Fedora e dell'amica Benedetta ne sono testimonianza), ma spesso aggressiva nel processo di seduzione (il personaggio di Ada, moglie del miglior amico del protagonista, Gualtiero). Un'inferiorità che l'uomo sente e finisce per manifestare sulle proprie défaillance sessuali. Un uomo che perde identità sessuale (Il continuo ripetere "cazzo" e il pensare all'organo maschile è segno di un'omosessualità latente?) e che prova a dissimulare le sue incertezze usando un linguaggio volgare, per darsi tono in una società che convive con la violenza e per allontanare una spiritualità oramai vuota (quella dei giovani che, per moda, negli anni '70 abbracciavano la new age orientale). Proprio il monologo del protagonista sulla parola "cazzo" rappresenta anche il vuoto intellettuale del borghese: quando lo pronuncia nel letto, con la moglie, sembra il delirio di un uomo confuso; quando lo ripete il giorno dopo a Benedetta, lo fa con un tono convincente, trasformando il delirio in un discorso che però può essere di senso compiuto solo per la scarsa intelligenza del suo interlocutore.



E' un film dunque cinico, che non fa prigionieri. L'unico personaggio positivo sembra essere quello di Gualtiero (interpretato da Paolo Bonacelli). La sua presunta insanità mentale sembra essere una difesa contro questa società violenta e priva di valori. La moglie lo fa chiudere in una clinica e qui Gualtiero perderà la vita, assassinato. Non sappiamo chi è l'omicida, non c'è un movente (forse semplicemente è la violenza che impera in questa Italia post-apocalittica o forse ha ragione il commissario, è un errore: doveva essere ucciso uno dei politici ricoverati nella stessa clinica), ma di sicuro è un fatto che ha una forte valenza simbolica. Quei misteriosi sicari che minacciavano Gualtiero, come confidato al protagonista, suo caro d'amico di infanzia, erano probabilmente l'immagine figurata di questa società consumistica e capitalistica, che tutto distrugge. Il valzer a due è un tentativo di Gualtiero di nobilitare la condizione attuale dell'uomo, che striscia impietosamente: se si deve strisciare, meglio farlo con il ballo (il valzer è appunto il ballo che si fa strisciando i piedi).  Per ciò che  concerne la relazione extraconiugale tra Fedora e Gualtiero (scoperta dal protagonista quando lei confida di aspettare un figlio dall'amico, oramai defunto), la donna ha visto nell'uomo ciò che era una volta suo marito. Questo a dimostrazione che il protagonista è stato "contaminato" da questa società violenta e nevrotica, mentre Gualtiero era riuscito a conservare, sotto l'apparente follia, una certa purezza. Fedora amava Gualtiero, così come amava il protagonista quando era giovane, perché capaci di rimanere meravigliati davanti al tramonto, simbolo della bellezza della natura, forse l'unica via di salvezza per l'uomo; quel tramonto che però "se n'è andato", piange sconsolato l'uomo, perché incapace di ritrovare se stesso.

Rimane un ultimo arcano da svelare: la busta, inviata da Gualtiero all'amico, contenente una busta più piccola con la scritta "da non aprire". La busta, istintivamente, ci fa pensare a delle risposte contenute in essa. Ma dentro alla busta ci sono bigliettini ognuno con la stessa scritta "da non aprire". La verità è che per l'uomo non ci sono più risposte e probabilmente neanche più domande, ma solo tanta confusione. 

Commenti

  1. Un film duro, senza speranza e nemmeno di sinistra. Un inferno dantesco.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esattamente, ideale prosecuzione dell'altrettanto nichilista Todo Modo (visto finalmente ieri sera)

      Elimina
  2. Ammetto che mi manca però ricordo benissimo il momento di grande anestetizzazione vissuto in Italia all'epoca. Ne stiamo ancora pagando le conseguenze.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Esattamente Nick...questo è un film critpico, ma con quella chiave di lettura diventa facilmente interpretabile.

      Elimina

Posta un commento