"Il caso Moro" (1986), film diretto da Giuseppe Ferrara, racconta i 55 tragici giorni di prigionia di Aldo Moro, il noto politico della Dc sequestrato e infine ucciso dai suoi rapitori, appartenenti alle Brigate Rosse. I fatti avvenuti nel 1978 sono narrati in questa pellicola che, come evidenziato dalla critica specializzata, non ha un taglio prettamente documentaristico, ma canoni narrativi del poliziesco. Quando i brigatisti disseminano per Roma i comunicati stampa e le lettere di Moro, sappiamo benissimo che essi arriveranno a destinazione, ma le scene, complici anche le splendide musiche di Pino Donaggio, riescono a trasmettere allo spettatore la giusta suspence. Sappiamo come andrà a finire, in sostanza, ma si innesca comunque quel processo, dentro la nostra mente, che ci fa stare in guardia per un possibile colpo di scena.
A un'accurata ricostruzione delle vicende dal punto di vista storico, sono state fatte aggiunte narrative per aumentare la tensione: scene, dal buon ritmo, in cui le forze dell'ordine vanno vicinissime a scoprire i brigatisti, anche nell'appartamento di via Montalcini in cui fu ricavata la prigione di Moro. Per ciò che concerne la visita di Don Stefani al sequestrato, il collaboratore di giustizia Michele Galati parlò di un incontro tra un emissario del vaticano, don Antonio Mennini, e Moro. Il sacerdote, secondo quanto riferito da Galati, fu portato nel nascondiglio in cui era tenuto prigioniero il sequestrato, in via Montalcini, indossando quegli occhiali con lenti schermate che si vedono nel film. Ma Mennini ha smentito con forza che ciò fosse accaduto.
Ad ogni modo, ciò che rende "Il caso Moro" una pietra miliare della nostra cinematografia, è la capacità di trasmettere alla perfezione il dramma di quei 55 giorni, grazie alla straordinaria performance di Gian Maria Volonté nei panni di Moro, che neppure in condizioni disperate perde pacatezza e compostezza davanti alla freddezza dei propri carnefici, lasciandosi andare a un pianto, comunque misurato, nella scena in cui ascolta una registrazione della Messa domenicale. Pur essendo il finale della vicenda tragicamente noto, il finale riesce ugualmente ad essere un pugno allo stomaco. "Il caso Moro" si conclude con le parole dello statista:
"Per un'evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né autorità dello Stato, né uomini dello Stato. Chiedo davvero di essere seguito solo dai pochi che mi hanno voluto bene".
Chiosa inevitabile: dal punto di vista politico, il film evidenzia una responsabilità morale, nella scelta della linea della fermezza, degli esponenti della Democrazia Cristiana. Il non voler trattare con le Brigate Rosse, atto che avrebbe portato a una sorta di loro riconoscimento, ha determinato la sorte infausta di Moro. Per il resto la pellicola non accenna ai misteri e alle teorie complottistiche sviluppatesi intorno al caso Moro, anche se non manca, sulla scenari del sequestro, la scomparsa di una delle borse del politico, contenente documenti rilevanti; e c'è anche una apparizione di (un finto) Licio Gelli, che secondo alcune teorie ha ricoperto un ruolo primario nella vicenda.
La responsabilità dei vertici della D.C è fin troppo chiara, però parlando del film, grandissima interpretazione di Volontè, attore che, com'è noto, dava il meglio di sé in film politici.
RispondiEliminaAnche in Todo Modo - film del quale pubblicherò presto la recensione - dove peraltro vestiva i panni di un personaggio che era praticamente Aldo Moro..
EliminaOgni volta che leggo il nome di Aldo Moro mi tornano in mente certi viaggi in auto con papà. Passavamo spesso di fronte al cancello della sua villa e lui ogni volta ripeteva che lì ci aveva abitato lui. Ho preso a farlo anche io, ogni volta che mi capita di passare di fronte a quelle siepi.
RispondiEliminaUn abbraccio.
Bellissimo questo aneddoto...personaggio non privo di ombre, Moro, ma molto affascinante...
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