Una tavoletta zeppa di concessioni retoriche, è vero. Uno come me, quando ha quasi trent'anni, deve pur pensare che non ha né cassa malattie né pensioni: e la famiglia, Gesù, è una cosa concreta. Quindi pensa anche al guadagno
Così Fabrizio De Andrè, nel 1969, rispose a un giornalista, che gli riportò le critiche verso quella che sarebbe diventata poi un caposaldo della sua produzione musicale: "La canzone di Marinella".
Marinella è una giovane prostituta uccisa e gettata in un fiume. De Andrè disse di essersi ispirato a un fatto vero di cronaca, avvenuto nel Nord Italia, in Piemonte. Una ragazza, figlia di contadini, divenuta orfana, si prostituiva per sbarcare il lunario, fino a quando un cliente non la derubò e la uccise.
Come riporta Walter Pistarini in "Fabrizio De Andrè - Il libro del mondo. Le storie dietro le canzoni", Roberto Agenta, uno psicologo, fece delle ricerche personali, arrivando a precise conclusioni. In realtà il fatto sarebbe accaduto a Milano, nel gennaio 1953: Marinella sarebbe Maria Boccuzzi, una ragazza calabrese immigrata al Nord che per sbarcare il lunario fece la ballerina e poi la prostituta. Fu uccisa a colpi di pistola e spinta nel fiume Olona.
Un delitto senza un colpevole e senza spiegazione, che ispirò De Andrè.
Marinella è una ragazza bellissima, costretta da un fato avverso (era rimasta orfana) a prostituirsi. Per sbarcare il lunario vende il suo corpo e questo le impedisce di sognare di vivere un vero amore e trovare marito.
Con un suo cliente nasce però qualcosa. L'uomo è una persona modesta, "Un re senza corona e senza scorta". Ma fa sentire Marinella una regina. Amata. La passione tra i due scoppia, di giorno e di notte. Fino a quando qualcuno la uccide brutalmente. E l'amante, disperato, ogni giorno si presenta a casa sua, bussando alla porta, sperando che quelle voci sulla sua morte non siano vere. Marinella non c'è più. Effimera, come tutte le cose belle.
La canzone di Marinella, il testo
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella
Sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla sua porta
Bianco come la luna il suo cappello
come l'amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone
E c'era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c'era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi
Furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle
Dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent'anni ancora alla tua porta
Questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.
Un capolavoro di poesia ma, ancora più, un esempio della sensibilità, della capacità di cogliere il dolore e la disperazione che avvolge chi , come Marinella, subisce le ingiustizie della vita.
RispondiEliminaGrazie Fabio del commento! Faber ha avuto questa grande capacità. Descrivere, avere pietà, entrare in empatia, senza mai condannare o cadere in facili moralismi o pensieri retorici. Un Grande.
EliminaOggi le ragazze belle con gli appoggi giusti fanno le ombrelline a Bagnaia e Marquez e non vengono fisicamente ammazzate, ma sfruttate e poi buttate via, e senza Fabrizio non hanno in regalo nemmeno una canzone.
RispondiEliminaHai ragione Gus, ma la sensibilità in questo sta cambiando. Per fortuna. Eh sì. Fabrizio manca, manca la sua empatia e la sua capacità di raccontare l'animo umano.
EliminaUna condanna ce la vedo. Poi vince la poesia, il messaggio delicato e fine, la brutalità celata nella bellezza di un testo e di un'armonia che che ha fatto storia. Ma la condanna c'è.
RispondiEliminaSì hai ragione, mi sono male espresso: lo stesso Testamento di Tito è una condanna molto dura verso la società e la strumentalizzazione della religione. Ma è una condanna "meno condannante" - neologismo ahah - perché consapevole dall'imperfezione umana
EliminaGrande testo, molto significativo.
RispondiEliminaConcordo, grazie mitico Cav!
EliminaDa un po di anni i testi di De Andrè sono stati introdotti nelle scuole,per stimolare il senso critico nei giovani ,spesso abbandonati a se stessi.E anche se di De Andrè si parla al passato ,mancando a livello di fisicità,la sua "spiritualità" è dimostrazione eternamente presente attraverso gli stessi testi, testi che scelgono sempre qualcuno capace della stessa fonte di sensibilità!:)
RispondiEliminaL.
Nella mia scuola elementare mamma fu tra le insegnanti a spingere perché la maestra di musica ci insegnasse il Pescatore, beh, per cui non posso che esserne felice. Diciamo che "I testi" sono passati..da madre a figlio. E ora il figlio cerca di fare il suo per trasmetterli a tutti :)
Elimina"Diciamo che "I testi" sono passati..da madre a figlio. E ora il figlio cerca di fare il suo per trasmetterli a tutti"
EliminaGrande testimonianza,conoscenza e riconoscenza dell'Amore.Nulla più da aggiungere.
grazie ❤ e in questi giorni ne abbiamo bisogno, non credi?
EliminaSalve ragazzi. De Andrè come Giorgio Gaber, Rino Gaetano e, per certi versi, Enzo Jannacci. Artisti immensi che hanno hanno fatto la Storia della Canzone italiana "impegnata" e cantato, da par loro, e tradotto in musica il dolore e le difficoltà quotidiane della gente, dei meno fortunati, di tutti colori i quali ieri come oggi hanno vissuto e vivono il disagio socio economico che ci caratterizza per farne motivo di protesta profonda ma civile. Artisti sempre più attuali in grado di "smistare" con grande oculatezza anche le barbarie di quei tempi definendole in piattaforma emotiva sulle tristi realtà odierne fatte, oggi come allora, di efferati miscugli di cronaca nera, di povertà e di incomprensione e ingiustizia sociale. Nello specifico direi che anche allora si pensava di vivere e di respirare una libertà sessuale "appagante" e capace di allontanare dal nostro vivere quotidiano le barbarie che invece oggi sollecitano ancora la nostra amarezza e lo sconforto più totale. La canzone di Marinella è vessillo indiscutibile del disagio e del dolore femminile vissuti a più livelli e diluiti con sofferenza nelle tante difficoltà che le donne vivono nei rapporti con uomini che anzichè fruitori e/o compagni attenti di quei sentimenti ne diventano per i motivi più diversi divoratori e carnefici al contempo. Cosa scatta in un uomo abbandonato dalla propria compagna o da una donna qualsiasi non è dato sapersi. Ma che i ruoli tra uomini e donne si stiano col tempo invertendo a favore delle donne credo che sia dato di fatto inequivocabile almeno dal punto di vista delle molteplici argomentazioni sessuali, comportamentali e sentimentali. La donna ieri come oggi si è progressivamente trasformata in "cacciatrice" abbandonando definitivamente gli abiti da "preda". E' la donna che sceglie, non più l'uomo. E' la donna che decide se e quando interrompere un rapporto o come proseguirlo non essendo più questo "fare" , terreno di argomentazioni da parte dell'uomo. Molti rapporti si concludono per volontà della donna che meglio dell'uomo sa decidere il da farsi e che se dipendesse dall'uomo non si concluderebbero mai seppur intrisi di tante difficoltà. Una chiara "sindrome" dell'abbandono che riguarda tanti uomini insicuri che pensano di non poter più cimentarsi in un nuovo rapporto sentimentale una volta conclusosi, non per loro volontà, l'attuale. Così ci si può innamorare anche di una bella prostituta vista come vettore basilare per uscire fuori dalle tante paludi quotidiane che ci assillano a prescindere dall'ascolto o dalla comprensione delle varie problematiche emotive e sociali di quella compagna. La mancanza di dialogo rende sempre più profondo questo enorme problema sociale e spesso trasforma gli uomini abbandonati in bestie feroci incontrollabili. Si fa di testa propria senza ascoltare nessuno. Si fa di testa propria senza riflettere e mai interrogarsi su se stessi. La vita intesa dunque come tratto edonistico ed egocentrico e non come veicolo di crescita culturale e ascolto dell'altro come invece dovrebbe essere. Una società malata senza equilibri.
RispondiElimina
EliminaMitico, forse nella nostra oramai decennale amicizia per una volta mi trovo in (leggero) disaccordo per ciò che concerne la tua affermazione sulle relazioni odierne.
Io credo che non ci sia un'inversione dei ruoli, ma credo semplicemente che l'essere il soggetto "proponente" e non quello "ricevente" attenzioni dipenda non dal sesso, quanto dal carattere. Così l'essere il soggetto che stacca la spina a un rapporto sentimentale.
Per ciò che concerne la sindrome dell'abbandono, penso che sia un frutto di una società che mette in furiosa competizione e che per questo consideri un "fallito" chi subisce quelle che invece sono inevitabili: le sconfitte e le cadute.
Miitico grazie infinite per il tuo commento al mio commento😄 Come disse una volra un rale "io mi batterò affinche tu possa dire sempre la tua in contrapposizione civile all mia".
RispondiEliminaIo la penso in modo differente per quanto già argomentato in precedenza.
Viviamo nella società dei vizi e dell edonismo dove nessuno sa o vuole più rinumciare a niente e la vita, in alcuni casi, vale meno chrezero.
Sono d'accordissimo, invece, sull'inquadramento di questa società dell'edonismo, dove non viene più insegnato a valorizzare ciò che abbiamo e a non pensare a ciò che abbiamo!
Elimina