La zona di interesse: la doppia recensione di Bonigol e Lampur sul film premio Oscar


La zona di interesse, film del 2023 del londinese Jonathan Glazer, ha vinto due premi Oscar, per il miglior film in lingua straniera e il miglior suono. Di seguito la doppia recensione.

La zona di interesse: recensione NO SPOILER di Bonigol (Enrico Bonifazi)

Ammetto di conoscere poco della carriera cinematografica di Jonathan Glazer (4 film in totale nell'arco di 23 anni), regista noto soprattutto per aver diretto videoclip musicali a Blur, Jamiroquai e Radiohead (per citarne alcuni) ma salito alla ribalta con La zona di interesse (attualmente nelle sale italiane), premiato con due statuette Oscar Academy, tra cui miglior film in lingua non inglese.

L'intento è quello di dare struttura a una chiara metafora della società attuale: il (con)vivere accanto agli orrori di un mondo mai in pace, ritagliandoci (con ipocrisia, buona fede o per necessità) un angolo di paradiso anche all'inferno.

Per dare corpo al suo intento, il regista ci proietta nella peggiore delle bolge dell'ultimo secolo sulla terra: il lager di Auschwitz, nella Polonia del 1940, dove il comandante nazista Rudolf Höss (Christian Friedel) vive con la moglie Hedwig (Sandra Hüller), cinque figli e alcune domestiche, all'esterno del campo di concentramento, in una villetta il cui giardino ne comprende parte delle mura esterne. 

La vita per loro scorre "normale", con un distacco totale dagli agghiaccianti rumori che provengono da oltre il muro (latrati di cani, urla umane, clangori, sirene, perfino fucilate). I bambini giocano e si divertono, Hedwig gestisce il giardino, Höss incontra ingegneri che progettano nuovi efficienti inceneritori. A tavola sembra esserci armonia e pur non palesando alcun tipo di odio o cattiveria ogni membro della famiglia si è abituato alle varie forme con cui la morte si manifesta nella loro vita (cupe nuvole di cenere che volteggiano in aria, abiti e oggetti sottratti ai deportati, denti d'oro da collezionare) scegliendo di "voltarsi dall'altra parte" più per comodità che per sentimento. 

Il film (attingendo al romanzo omonimo) ci racconta di questa grottesca capacità di adattamento dell'uomo attraverso lo spaccato della vita di personaggi realmente esistiti. Un'opera tecnicamente perfetta dal forte impatto visivo (colori pieni di luce contrapposti a scene quasi in "negativo" illuminano il grigiore delle ciminiere fiammeggianti che sparano nuvolacce di cenere su un cielo meravigliosamente ceruleo) e soprattutto uditivo (Oscar per il sonoro meritato). Meno convincente è l'aspetto narrativo. 

Il taglio documentaristico de La zona d'interesse fa sì che ci si trovi ad osservare la quotidianità di gente che compie le medesime azioni durante varie fasi della giornata. Si gioca, si ride, si scherza intimamente ma non si va mai oltre il limite concettuale che si è posto il film (limite che diviene anche cinematografico, a mio parere) sebbene un paio di significative sequenze instillino il seme della riflessione e fungano da "tarlo" nelle refrattarie coscienze dei personaggi. Gli attori se la cavicchiano in un copione fatto prevalentemente di silenzi (poche tracce della Hüller ammirata in Anatomia di una caduta mentre Friedel risulta laconico e poco espansivo) e svolgono discretamente un compitino quasi elementare che non lascia emergere le loro vere potenzialità. 

Un film che certifica l'orrore dell'egoismo e della discriminazione negli impenitenti, che frignano per i contrattempi di una vita serena mentre accanto a loro "casca il mondo". "Così va la vita" scriveva Kurt Vonnegut (quasi fosse sempre una fatalità e non una scelta) e basta guardare oltre i "muri" che ognuno di noi erige a difesa della propria serenità per rendersi conto che le cose non cambieranno mai.




La zona di interesse: recensione CON SPOILER di Lampur (Franco Battaglia)

La zona d’interesse non è solo quella inquadrata in lungo e largo da Glazer. 

É soprattutto quella confinante, che racchiude un campo di concentramento tra i più feroci ed “efficienti” dell’ultima guerra mondiale, zona dalla quale emerge solo un sonoro di morte, spari isolati, gemiti, urla e ciminiere che bruciano corpi esalando fumo nero di giorno e sinistre fiammate di notte. Un sonoro da Oscar.

La zona d’interesse, in una scena che trovo emblematica, è il tappeto dove il figlio minore di Hoss, Comandante di Auschwitz, gioca coi suoi soldatini, si alza un attimo, scosta la tenda per vedere, forse percepire, identificare meglio quei  rumori e quei brusii, e se ne allontana immediatamente, ammonendo se stesso e quel suo disdicevole crearsi fastidio. Come noi quando spesso cambiamo canale a cena, mentre parte un servizio su nuovi bombardamenti a Gaza o in Ucraina.

C’è appena un alto muro grigio a separare le due zone d’interesse della famiglia Hoss, da un lato fiori meravigliosi, dall’altro futuro concime per i medesimi.
Non è un mondo inconsapevole, il capofamiglia nutre ipocrita benevolenza ma vive per la funzionalità del campo che dirige e si intrattiene sessualmente con una deportata, la moglie cura amorevolmente i bambini e le amiche, ma minaccia una domestica di poter farla ridurre in cenere dal marito alla successiva inadempienza. 

Vivono uno stato di fatto accettato e ne traggono tutti i confort possibili; gite in barca e picnic sull’erba, passeggiate a cavallo, relax in piscina, ecco magari facciamo crescere una vite velocemente a coprire quel muro che separa dal mondo all’incontrario, ma  pienamente calati a cogliere vita regolare, fluire di chiacchiere, the, pellicce sequestrate ai nuovi arrivi oltre muro, nonostante l’acufene di sottofondo cui non fai più caso.. 

La mamma della signora “Hoss” un po’ meno: viene a trovare la figlia e quel “sonoro”, quell’acre che il cinema non riesce a trasmettere, ma evocare certamente, le fa abbandonare la villa insalutata ospite, lasciando giusto due righe che non ci saranno rese note, ma che ognuno di noi immagina aver potuto vergare con medesima indignazione.

La zona d’interesse è la serra dove il fratello più grande, ad un certo punto, rinchiude il fratello minore, in una sorta di prova generale, di crescita consapevole, di futuro programmato. Carcerieri e prigionieri, loro i cattivi noi i giustizieri. Eliminiamo la feccia, ne gassiamo il più possibile, purifichiamo il mondo.

Meno convincente la repulsione che prova Hoss quando, mentre è al fiume coi figli, scopre che la corrente trasporta melma di scorie umane provenienti dal campo, riporta di corsa a casa i figli e tutti si lavano furiosamente da quei residui di spoglie incenerite. In fondo abitano ad un passo da ciminiere che vomitano cenere umana h 24, basta un refolo di vento a farne depositare tracce sui candidi panni stesi o nella piscina limpida..

Lasciano smarriti anche le lunghe transizioni a tinta unica che vorrebbero instillare ansia e inquietudine ma sanno di calcolato e quasi sfiducia in un pubblico da stimolare artificialmente, come non bastasse l’evocazione visiva.

E infine i conati di vomito di Rudolf  Hoss - anche loro segnale ambiguo -, alternati a fine film insieme ad inserti sull’attuale Auschwitz, museo a monito perenne, una novella zona d’interesse dove ora si puliscono vetrine coi resti di migliaia di ebrei uccisi, dove si toglie la polvere dai forni crematori, dove si organizzano visite, gite e qualcuno riesce anche a scattare selfie. 

Rimorso, emozione, eccitazione? Glazer lascia a noi l’ulteriore risposta.

Commenti

  1. Stavolta lascia con vaghe perplessità entrambi, la pellicola, e i segni di turbamento sono davvero da cogliere con il lanternino in mezzo a tanto, troppo voler cloroformizzare lo spettatore in un clima di forzosa normalità.

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    1. Quello che invece non mi lascia perplesso, ma anzi mi entusiasma, è la doppia recensione :) grazie a entrambi!

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  2. Già. Sceneggiatura adatta più a un documentario che probabilmente avrebbe palesato già in un'ora ogni intento. Giudizio tecnico 10. Giudizio critico appena sufficiente.

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  3. La recensione di Lampur mi ha dato ottimi spunti di riflessione. O per lo meno mi ha fatto aprire gli occhi su ciò che funziona meno nel film, come la debole efficacia del personaggio di Hoss in alcune parti cruciali. Gigante il personaggio di Sandra Huller, che a sua volta ha giganteggiato da semisconosciuta in questo 2023, bravissima. Per il resto sono sicuro che l'opera è destinata a rimanere nella memoria collettiva per innovazione e sperimentazione. Consiglio a tutti di vedersi il backstage del set.

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    1. Io neanche sulla tecnica troppo convinto.. avevo visto il backstage, e mi aveva già lasciato perplesso il non disturbare gli attori con la presenza di maestranze cinematografica, per farli concentrare sulla loro vita già anomala di per se'. Ma parliamo di attori tutto sommato, gente avvezza.. buona idea invece il negativo ottenuto con camere termiche.. tanti segnali lanciati a mezza bocca e raccolti a fatica, immersi nel disagio, tutti ben coscienti di ciò che accadeva oltre il muro.

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