La Casa delle Anime Erranti è un film del 1989 che fa parte di un ciclo horror (incentrato sulle "case maledette") commissionato a Reteitalia da Mediaset tv ma mai inserito in programmazione dalla stessa per via dei contenuti troppo violenti. Il formato in 4:3, la fotografia, il budget low cost e (soprattutto) la regia di Umberto Lenzi, lo hanno reso celebre tra i cultori dei b-movies e cinema trash. Sono inoltre evidenti le affinità con la collana di film per la tv nota come "Lucio Fulci presenta" (prodotta l'anno precedente).
La protagonista |
La trama sembra volere goffamente omaggiare Shining (la "casa" del titolo è in realtà un albergo in disuso che fu teatro di omicidi efferati) con tanto di "luccicanza" e macabre visioni sanguinolente (una delle protagoniste ha doti telepatiche). Inutile sottolineare che un paragone tra i due film sarebbe come quello tra un cartone di Tavernello e una gran riserva di Barolo (questo per sottolineare il taglio non certo estimatorio di questa recensione).
Attenti alle lavatrici.. |
La vicenda narrata è quanto di più semplice e prevedibile ci possa essere. Tutto parte da un episodio di percezione extrasensoriale che riguarda Carla, studentessa di geologia che si trova in Valtellina (per alcune ricerche) insieme a quattro amici (tre ragazzi e una ragazza) e al fratellino dodicenne Gianluca. Nel suo sogno ad occhi aperti, la giovane vede un minaccioso monaco tibetano colpire con un'accetta la statua del Buddha facendogli sprizzare sangue dal cranio, mentre ragni inquietanti passeggiano sopra un teschio. L'indomani la vacanza-studio giunge al termine e la comitiva si prepara alla discesa verso valle. Durante una tappa nel vicino paese montano, i sei fanno la conoscenza della giornalista televisiva Daria (piccolo cameo di una smagliante Licia Colò) e del suo cameraman (un tizio "farsesco" con occhio sempre nel mirino della sua videocamera, anche durante banali conversazioni). Ripreso il viaggio, dopo un'ora di macchina, i ragazzi, stanchi e infreddoliti (faceva freddo dentro l'auto in corsa? Mah!) trovano la via principale sbarrata per frane e smottamenti; questo inconveniente li costringe a rifugiarsi all'Hotel dell'Eremita, una vecchia struttura inospitale, fatiscente e dall'aspetto sinistro. Ad accoglierli è un uomo tenebroso che non rivolge loro alcuna parola. Con qualche cenno del capo acconsente a lasciarli entrare solo per una notte nonostante la struttura sia chiusa. Per i giovani sarà l'inizio di un incubo tra le mura "dell'Hoverlook dei poveri", un luogo in cui le anime dei morti assassinati vagano tra le stanze polverose in cerca di vendetta.
Mamma mia che doloreeee (cit.) |
Il tema del film è dunque il classico "brodino" riscaldato e sciapo dal cui "assaggio" spicca soprattutto l'assenza degli ingredienti omessi. Si poteva fare e non si è fatto ed è proprio la sceneggiatura a fallire nel compito di sorreggere uno "scheletro" tra i più abusati dell'horror, ossia la casa "infestata". Abbiamo visto migliaia di volte trame prendere il via da questa "radice" e svilupparsi "dignitosamente" tra situazioni trite e ritrite, riuscendo comunque a mantenersi avvincenti, spiazzando lo spettatore con cambi geniali di prospettive e prendendo pieghe inaspettate. Gli eventi di questo film(etto), al contrario, sono un po' come la barchetta del piccolo Georgie all'inizio di It: da principio seguono il flusso di corrente (prevedibile, impostato, quasi un binario) per precipitare di colpo in una fogna.
Il bambino nella soffitta.. |
Un piattume noioso con espedienti tipo tarantole, mani scheletriche, lampadari sanguinanti, tagliole per volpi buttate dentro a caso. Anche le uccisioni sono prive di grandi fantasie (dinamiche obsolete già negli anni ottanta), con l'ossessivo ricorso alla decapitazione a troneggiare: teste mozzate "come se piovesse", quasi da far ipotizzare che il creatore di effetti speciali abbia offerto un 3×2 al regista. Sono presenti "preziose" perle trash come una scena in cui Kevin (identificabile come il "leader" del gruppo di studenti, colui che prende decisioni) prima di rientrare nell'hotel (che ormai ha rivelato il suo lato oscuro) si arma di... metaldetector (in effetti a chi non servirebbe dentro ad un albergo?). Memorabili anche le esigenze del piccolo Gianluca che di primo mattino deve ascoltare la radiocronaca (improbabile a quell'ora) del match di Coppa dei Campioni Milan-Werder Brema. Viene anche da chiedersi il perché della presenza del "fantasma" del monaco tibetano (assolutamente fuori contesto).
Il monaco buddista |
Ultima nota di biasimo è per il doppiaggio che, nei film di seconda scelta, risulta (quasi sempre e non fa eccezione questo film) fastidioso quanto un rubinetto gocciolante alle tre di notte. Il finale non sorprende, non incanta, regala solo il sollievo che porta lo scorrere dei titoli di coda dopo un'ora e mezzo di "fatica".
Perché, allora, guardare questo genere di film? La mia risposta è che non sempre colpi di genio o perle cinematografiche si celano solo dietro pellicole dai budget multimilionari. Si potrebbe definire una sorta di ricerca (masochistica) di intrattenimento alternativo, che, come (purtroppo) in questo caso (anzi, in questa "Casa") sfocia nel ridicolo o, per dirla con un neologismo di Riky, nel "poveraccismo".
Bonigol
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