Midsommar: un dieci piccoli indiani dei poveri (di Franco Battaglia)

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Di Franco Battaglia

Spesso faccio fatica a comprendere l’incapacità di trovare del buono in pseudo horror acclamati a gran voce. Poi arrivano pellicole come questa e mi riappacifico appieno con la mia inadeguatezza.

Midsommar è uno di quei film che fanno a pezzi il cinema e i malcapitati alla visione, utilizzando maldestramente ogni stereotipo classico di tali occasioni: ad esempio beoti studenti americani dediti allo sballo e frustrati da tormenti familiari, in gita presso una setta pagano/sciamanica composta da altri balordi, tutti indistintamente e completamente fuori di testa.

Ma anche noi, che magari andiamo al cinema rimanendo perplessi di fronte ai mille messaggi subliminali spacciati per delicati inserti da cogliere senza pregiudizi, non siamo certo da meno. 

Non riusciamo a presagire la sòla. Idioti pure noi. 

Una sola parola a favore di Aster incentiva la sua povertà narrativa, questa sciatteria cinematografica, l’insistito ricorso al campo geometrico, ai giochi di camera, le contorsioni visive a giustificare quelle mentali, l’orso in bella mostra a giustificare la narrazione checoviana,  le movenze dei balletti ai quali forse quell’altro fenomeno di Lanthimos avrebbe potuto suggerire uno stile meno bolso (si auspicano future collaborazioni!), gli specchi riflettenti a sottolineare l’assenza di notte svedese; la carenza di messa in scena (tranne qualche pregevole graffito), la goffaggine dei preamboli, delle sparizioni, delle morti, il festival di mezza estate della decerebrazione collettiva sopportata non solo da adepti ebeti ma anche da presunte menti “fresche”. 

“Ci sballiamo adesso o tra un po’?”, equivale giustamente al nostro “spritz ora o prima di cena?” e ti serve il piano assurdo che dovremmo sorbirci praticamente fino alla fine, ma non si può pretendere che ci si cali mani, piedi, anima e cervello in una comunità di balordi e rincoglioniti perfetti dove mancano solo folletti e gnomi. 

Questo dieci piccoli indiani dei poverissimi (ci perdoni Agata se abbiamo osato..) marcia in sospensione dell’incredulità fin dalle prime battute, (l’ordinario The village diventa Cinema Enorme a confronto), ma per questa ciofeca si scomodano tutta una serie di elevati contenuti che riportano ad un miserabile e comunissimo plot (te sei scopato la mejo del villaggio e mo’ te la faccio paga’ de brutto)..  l’élite critica invece offre credito immenso a questi “esperimenti” fino a tuffarsi olimpicamente (frequenti i richiami ai tedofori anche) nel ridicolo, tipo vittime sacrificali dalla rupe. 

Vogliamo tutti credere, infine, che il livello di beoti che anima questa congrega di fanatici uscita da un documentario vichingo, non possa certo prevalere sulla meglio gioventù americana abituata a ben altre efferatezze, vorremmo credere infine alla ricerca antropologica che pesca nel disturbante del folk horror calandoci in psicologie degne di studi  approfonditi (ma forse basta rimpinzarsi di droghe, stregonerie, incantesimi preistorici e qualche pelo pubico (chi non ne ha mai trovato almeno uno - riconoscendolo al volo - nei cheese burger Mac?)


Commenti

  1. Grazie all'amico Franco per questa super recensione e per il contributo al mio blog ❤

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    1. Grazie sempre a te Riky.. un film che si adegua perfettamente ai mei quesiti sul mio post "Perché l'horror?", senza riuscire a rispondere a nulla.. ;)

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    1. L'ho visto anche io, questo film recensito da Franco. Anche per me è POLLICE VERSO

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  3. Non grido al capolavoro, anzi, ma qualcosa mi ha lasciato e di certo l'atmosfera e l'ambientazione frastorna.

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    1. Ecco, questo tuo commento è in linea con quello che penso: però per me resta un film insufficiente per me

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