Sono presenti SPOILER
Una fiaba adulta con qualche eco felliniana - siamo in Romagna d'altra parte - e con personaggi espressione di un cinema italiano creativo, un po' folle e visionario.
"La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone", diretto da Pupi Avati e sceneggiato dal regista bolognese assieme al fratello Antonio e a Gianni Cavina, è film che mette al centro le doti attoriali del grande Ugo Tognazzi, in gran spolvero specie nella prima parte del film. Tognazzi è Anteo Pellacani, ricco ereditiere che disprezza gli altri e soprattutto fortemente anticlericale, soprannominato "Gambina maledetta" per via di un infortunio che ha compromesso la funzionalità della gamba destra dell'uomo, costretto ad abbandonare la promettente carriera sportiva da maratoneta.
Pellacani si era ferito arrampicandosi e cadendo dal fico protagonista della vicenda, quello che campeggia nella sua vasta proprietà e che si dice sia fautore di veri e propri miracoli. Da qui il riconoscimento, da parte della Chiesa, dello status di pianta sacra, rendendola anche meta di pellegrinaggi. Effetto comico garantito, essendo di proprietà di un uomo che dopo quell'incidente è fortemente anticlericale, un mangiapreti come si diceva dalle mie parti, in Romagna: non a caso lo vorrebbe abbattere senza troppi complimenti. Per questo convoca nella sua magione Fava, interpretato da un sorprendente Lucio Dalla, giunto in loco con trattore e sega a rimorchio.
Il microcosmo di personaggi de "La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone" è veramente degno di nota, partendo dal servitore di Anteo, il vituperato Petazzoni interpretato da un Gianni Cavina sempre sugli scudi, fino naturalmente al "magnaccia" Checco "Biancone" Coniglio, interpretato da un Paolo Villaggio che sa dare vita a una personaggio "squisitamente" cinico, viscido e calcolatore: lati che tutto sommato fanno parte, benché un po' nascosti, anche del carattere del suo personaggio letterario e cinematografico più famoso, Fantozzi.
Con Biancone ci sono le due prostitute interpretate da Lucienne Camille e Delia Boccardo, e proprio quest'ultimo sarà il personaggio chiave della vicenda. L'anticlericale Anteo infatti, vedendola sui rami del fico, la scambierà per la Santa Girolama e da questo momento ci sarà un cambiamento radicale nella sua vita, ma anche nella narrazione del film di Avati.
Per molti questo passaggio segna la fine della parte migliore della pellicola. In parte è giusto. Il miglior Tognazzi è quello che vive diverse situazioni, esternando il proprio disprezzo e distacco verso quel "microcosmo" di persone che lo circonda, dal servitore appunto ai parenti, cugina e zie (una delle due è Pina Borione, l'anziana protagonista de La casa dalle finestre che ridono). Le capacità attoriali di Tognazzi si abbinano a una sceneggiatura ricca di dialoghi e di battute che riescono a essere boccaccesche e irresistibili senza mai scadere negli eccessi. È palese, per lo spettatore, che il meglio il film lo dia nella spassosissima e geniale introduzione, nonché nelle prime parti, che descrivono i personaggi e le dinamiche, non nella seconda, che è quella in cui si sviluppa, in senso stretto, la storia.
Tuttavia Tognazzi è un attore dalle mille sfaccettature ed uno dei personaggi che meglio riesce a interpretare è quello dello "spiantato" e del decaduto, che mantiene però una certa dignità, anche se sostanzialmente rimane un egoista, basti pensare a quel "è mio, è mio", in riferimento al bambino che lui crede, erroneamente, figlio della santa.
Il film non perde tono, semplicemente la storia si evolve, incanalandosi nei binari di una vicenda lineare, fino a un epilogo intenso e anche commovente, in cui non solo l'ex mangiaprete ha abbandonato la sua miscredenza, ma si è anche riappacificato con padre Arioso, un sublime Gianni Pizzirani, che lo spalleggia nel finale: "I miracoli ci servono, ci vogliono", dice, vedendo Anteo scappare felice con in braccio il figlio della santa, in realtà la prostituta.
Il cinema di Pupi tocca picchi altissimi con il gotico horror o quando sviluppa storie attorno al tema della nostalgia e del ricordo; La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone non rientra in questi filoni, ma rimane un gioiellino del cinema italiano, in quanto Avati è uno dei maestri nel descrivere i sentimenti, le nevrosi, le debolezze dell'uomo: tra quest'ultime quel bieco materialismo che muove tantissimi personaggi di questa fiaba "stralunata" e dal sapore un po' amaro. In questa visione materialistica rientra anche la fede da parte di chi la vive come un rituale in vista del conseguimento di qualche utilità.
Per il vero uomo di fede, invece, ogni nuova vita, che in questo caso ha peraltro avuto un prezzo pesantissimo (la morte della madre nel parto, come era avvenuto per la vera Santa Girolama), rimane "un miracolo", all'interno del ciclo della vita.




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