di Bonigol
Un pomeriggio come tanti, rovistando tra vecchi Dvd, così per utilizzare il tatto in maniera diversa dalle dita che premono sul telecomando di una smart tv. Estraggo dalla teca uno dei più grandi capolavori dell'horror italiano: Profondo Rosso, di Dario Argento, datato 1975, il film che ha segnato una svolta nel cinema del regista romano, già autore di numerose pellicole di qualità e successo (a tinte gialle, o forse meglio dire "arancioni") regalandomi parecchie notti da incubo, con le colonne sonore dei Goblin a riecheggiarmi nella mente.
Inserisco il Dvd nel lettore, so che non è più usuale farlo ma a volte, l'unico modo per gustarsi un film è fare un passo indietro di qualche anno.
La trama di Profondo Rosso, come molti sapranno, si sviluppa attorno a un pianista jazz inglese, Marc Daly (interpretato da David Hemmings), divenuto testimone oculare dell’omicidio di una medium, Helga Ulmann, assassinata poche ore dopo aver tenuto una conferenza sul paranormale. Spinto dalla curiosità e dal desiderio di giustizia, Marc si "allea" con la giornalista Gianna Brezzi (Daria Nicolodi) per scoprire l’identità del killer. Questo connubio porterà i due a "danzare" pericolosamente in una scia di sangue che rischierà di invischiarli mortalmente.
Uno degli elementi che continuano a colpirmi dopo quasi 50 anni è proprio la regia innovativa di Dario nostro, caratterizzata da movimenti di macchina fluidi e dinamismo. La telecamera si muove incessantemente, creando un senso di tensione e claustrofobia, specialmente nelle scene girate in corridoi bui e angusti attraverso i quali Argento si sforza con successo di condurci con occhi e animo impauriti.
I dialoghi saranno pure un po' da sgrezzare ma non perdono mai una piacevole veracità. Di tanto in tanto, qualche siparietto divertente stempera l'ansia per consentirci di normalizzare i battiti e prepararci a fronteggiare l'orrore che verrà. Le sequenze degli omicidi sono particolarmente brutali e visivamente impattanti. Non vengono risparmiati i dettagli macabri che, grazie ad effetti speciali magistralmente "fatti a mano", mantengono ancora, nonostante il passare degli anni, una forte carica suggestiva. Per quanto riguarda il sangue si è preferito scegliere un color vermiglione, brillante e pastoso (quasi una vernice) volutamente esagerato per accentuare l'impatto visivo.
La colonna sonora, composta dai Goblin di Claudio Simonetti (e già menzionata in apertura di questo scritto) è un altro elemento fondamentale del film. Le musiche dal taglio tetro, con i loro ritmi incalzanti, ridondanti e le nenie inquietanti (Per le quali anche Ennio Morricone ne L'Uccello dalle Piume di Cristallo aveva optato), contribuiscono a creare un’atmosfera di tensione costante, rendendo quest'opera un'esperienza sensoriale completa.
Un film invecchiato, certo, ma stagionato bene e pronto a far godere ancora gli amanti del cinema.
Scorrono i brevi titoli di coda, ripongo soddisfatto il disco nella custodia. Un pezzetto di storia lì in bacheca. Impietoso il confronto (che sorge spontaneo) con le recenti opere del nostro amato Darione. Penso al Cartaio, Occhiali Neri, Dracula, robetta di grama scrittura con sequenze che rasentano l'amatoriale. La vera arte è rimasta nel passato del regista, nei titoli come Suspiria, Phenomena, Profondo Rosso, pellicole che furono capaci di mostrarci nuovi orizzonti della paura ma anche di appassionare, con indagini ben imbastite e coinvolgenti; film che resteranno tra i capisaldi immortali del "vero" Dario, un Argento capace di rendere oro tutto ciò che toccava.
Di quel film ricordo soprattutto la meraviglia per i Goblin!!!
RispondiElimina