Carlo Panaro, 40 anni di Topolino per l'autore ligure: cosa mi hanno insegnato le sue storie


Il ligure Carlo Panaro è uno dei più prolifici autori Disney ancora in attività. I.n.d.u.c.k.s quantifica in 1336 il numero di storie, lunghe o brevi, scritte per Topolino. Panaro nel maggio del 1985 fece il suo ingresso nella redazione del settimanale: sono passati 40 anni. Io ne faccio 42 tra un mese esatto e le sue storie hanno fatto da cornice a tanti momenti della mia vita.

E in effetti ci sono storie, lette in fanciullezza (scusate il termine desueto), che lasciano un'impronta più grande delle altre.  Una di esse è proprio opera di Carlo: "Paperino e l'inversione cromatica", pubblicata come storia di apertura del Topolino 1759 (agosto 1989) e disegnata da Romano Scarpa.

Già nella prima vignetta c'era un elemento che attirava la mia attenzione: Nonno Bassotto in spiaggia, intento a leggere un quotidiano e a esprimere il proprio biasimo sulla condanna a 10 anni di reclusione di tale Joe Arraffa, a processo per 26 rapine.

In quella vignetta già c'era "un manifesto" dell'arguzia dello sceneggiatore: in Nonno Bassotto rivedevo mio padre che, udita la notizia al telegiornale, si lamentava sì della condanna a Joe Arraffa, ma per motivi opposti a Nonno Bassotto, ritenendo la pena troppo leggera. Effettivamente quello che per noi è giusto, per un'altra persona può essere sbagliata. 

Il giudizio sulle azioni dei Bassotti, certamente, non poteva che essere negativo: rinvenuto un frammento di meteorite in una "bisaccia" (termine meraviglioso!), i Bassotti scoprono che esso è in grado di invertire i colori delle cose e delle persone, anche se gli effetti possono essere facilmente annullati con il bagno in acqua marina, e con uno stratagemma riescono a contaminare le banconote del deposito di Zio Paperone. 

Il povero Paperino si ritrova poi a colori invertiti, arancione con il becco bianco, e questo fattore mi suscitava grade ilarità. Gli splendidi disegni di Scarpa hanno aiutato una sceneggiatura frizzante, con gag e momenti di azione, prima del lieto fine.

Ed è questo un particolare che ho sempre apprezzato delle storie di Carlo Panaro: da bambino, inesperto delle dinamiche del mondo, avevo bisogno di distinguere chiaramente il bene dal male. Crescendo avrei capito giustamente che la polarizzazione è sempre un modo sbagliato di approcciare alle cose, ma da bambino è necessaria la semplificazione. I buoni, comunque, dovevano vincere sempre: e non potevo digerire i finali in cui Zio Paperone perdeva soldi in un affare sbagliato o Paperino veniva inseguito dal ricco parente intenzionato a punirlo. 

Le storie di Carlo, invece erano rassicuranti: anche i finali "beffa" per i protagonisti erano sempre più leggeri. 

Per questo, Panaro divenne presto uno dei miei sceneggiatori preferiti. Sapeva districarsi abilmente tra storie di avventura (esempio la sottovalutatissima "Topolino e il fantastico mondo di Tàgoras"), gialli ("Chi ha rubato Topolino 2000", "Topolino e l'operazione Caos", "Topolino e l'imperatore della risata" per citarne alcuni), ad altre di vita quotidiana. Sapeva usare un'ironia divertente sia per il bambino che per l'adulto (la strepitosa "Zio Paperone e il sogno nel cassetto", che racconta l'esperienza da attore teatrale dello Zione). 

E poi il Topolino di quell'epoca strizzava l'occhio alla cultura pop e al mondo della televisione commerciale, sempre più dominante nella vita degli italiani: così nelle storie di Carlo c'era "Il gioco delle coppie" di Marco Columbro, la disco-music del primo Jovanotti, ma anche riferimenti ad alcune perle cinematografiche dell'epoca, come "I gemelli" di De Vito e Schwarzenegger e "Da grande" di Pozzetto.  

Ma nel calarsi in quel mondo e nei riferimenti alla vita reale, le storie di Topolino e di Panaro erano ancorate saldamente a valori e principi che hanno guidato la mia crescita.

Così "Paperino...da piccolo" insegnava a non avere invidia della vita degli altri, a comprendere che anche noi bambini avevamo responsabilità a cui non potersi sottrarre e che la vita degli adulti era sì complicata, ma non priva di piaceri. "Il gemello perfetto" faceva riflettere su quel senso di inadeguatezza e sulla paura di non essere amati. 

Temi adulti, maturi: ma sviluppati con empatia e con la delicatezza che ha sempre contraddistinto la produzione artistica di Carlo, che ha iniziato a spiccare anche per questo motivo. I personaggi Disney rimangono sostanzialmente immutabili, con il trascorrere del tempo. Non invecchiano, mantengono pregi e difetti. Ebbene, Panaro è riuscito a umanizzarli senza snaturarli. 

Abbiamo visto uno Zio Paperone generoso ("Zio Paperone e l'Inno di Natale"), i Bassotti rinunciare a derubare Zio Paperone per riconoscenza ("Paperino e la notte dalla Bontà"), Gambadilegno schierato dalla parte del bene ("Gambadilegno e il Natale speciale"). I personaggi non venivano affatto snaturati: semplicemente, davano voce al meglio dell'animo umano, si facevano portavoce di messaggi universali di amore.

In questi giorni sto leggendo il libro di Valentina De Poli, "Un'educazione paperopolese" in cui racconta la sua lunga esperienza nella redazione di Topolino, settimanale che ha diretto per tanti anni. Parla anche di Carlo, dicendo che in 30 anni è rimasto sempre lo stesso, "uguale e inossidabile", dove quell'uguale non è da considerarsi aggettivo negativo; quanto il riconoscimento di un autore che ha attraversato decenni, cambiamenti epocali,  riuscendo sempre a rimanere la stessa penna, pur aggiornando la cornice in cui far muovere i propri personaggi, a seconda dei cambiamenti di tipo sociale che caratterizzavano il passaggio da un'epoca all'altra.

Ma quando la De Poli esprime il rammarico per la scrittura del personaggio di Brigitta, praticamente una "stalker" nei confronti di Zio Paperone, dimentica quanto Carlo abbia "nobilitato" questo personaggio in quella che è ritenuta la sua storia migliore, "Zio Paperone e la formula della ricchezza", mettendo i due personaggi alla pari, evidenziando la purezza dei sentimenti di lei verso lui e soprattutto dando spazio anche ai sentimenti del papero multimiliardario verso la sua inossidabile corteggiatrice.

Un inno all'Amore vero, che trascende anche il rapporto di coppia. Quell'Amore che Carlo ha messo per 40 anni nelle sue storie, quell'Amore che ci ha insegnato attraverso i nostri personaggi preferiti, meno paperi e meno topi rispetto alle apparenze e così tanto umani. 

Commenti

  1. Sono sempre stato più affascinato dal settore paperi nelle storie Disney, quindi Paperino, Zio Paperino, Paperinik, Nonna Papera (della quale mamma non è mai riuscita neanche lontanamente a riprodurmi una parvenza del suo stufato, del quale avvertivo aroma reale addirittura dalle pagine del giornalino..), Topolino invece lo trovavo distante dai miei standard di sfigatezza e divertimento.. inutile dire che ci sono, ci siamo cresciuti, con quelle storie magnifiche, quei mondi che ci trasportavano in realtà immaginarie che finivano sempre in bellezza. Un po' meno di quello che accade quando chiudevi il giornalino. Ma voglio credere che un po' di carattere l'abbiano formato anche quelle pagine, e se a volte sforniamo personalità sagge, lo dobbiamo anche all'ingenua spontaneità di tante storie.
    Riccardo ne è esempio eccellente.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio per avermi elevato a esempio eccellente :D.
      Non sono d'accordo sul termine ingenuo: le storie (quelle principali, non le riempitive) hanno sempre un secondo piano di lettura più maturo.

      Elimina
  2. 1336, 'sto cazzo! 😲
    Oddio, che mi hai ricordato. La storia la ricordo come se l'avessi letta ieri ma credo di averla letta solo quella volta nel 1989 sul settimanale.
    Stesso problema con quel genere di finali e ci aggiungo quando Paperino assecondava lo zio per ridurre la lista dei debiti ma alla fine quella aumentava 🤬

    RispondiElimina

Posta un commento