Due film interpretati da Renato Pozzetto e Aldo Maccione, sul tema del triangolo amoroso, usciti a cinque anni di distanza uno dall'altro: "Due cuori e una cappella" (1975) e "Fico d'India" (1980). Due film oggi forse dimenticati, ma che offrono buoni spunti di riflessione, non solo agli appassionati della filmografia di Pozzetto.
In "Due cuori e una cappella", diretto da Maurizio Lucidi, Pozzetto interpreta Aristide, il classico personaggio del cinema "pozzettiano": il bambino in un corpo d'adulto, costretto ad affrontare la vita senza la protezione della madre, appena defunta. Ben diverso è Lorenzo Millozzi, protagonista di "Fico d'India" dell'ottimo Steno, sindaco di un piccolo paese di Provincia e assicuratore benestante, che ha le caratteristiche di un altro tipo di personaggio del cinema "pozzettiano": quello del personaggio cinico e insofferente, che "disprezza" l'ambiente in cui vive e i suoi concittadini. Entrambi sono "costretti" ad affrontare un triangolo. Nel film di Steno, irrompe nella vita di Millozzi un latin lover, Ghigo Buccilli (Maccione), che cerca di sedurre sua moglie Lia (Gloria Guida). Per un equivoco Lorenzo li trova entrambi nella camera da letto e li minaccia con una pistola, provocando, per lo spavento, un infarto a Ghigo. Questi sopravvive, ma deve affrontare un periodo di degenza a casa del sindaco, perché questi non vuole che si sappia in paese che il sindaco...è cornuto. Nel film di Lucidi invece Maccione interpreta un ex ergastolano, Victor. Claudia, la donna che Aristide aveva conosciuto al cimitero, era infatti sposata con Victor, uomo uscito dal carcere. Ma questi è intenzionato a lasciare la moglie (e la casa del protagonista), non appena porterà a termine un colpo: un rapimento, a scorso estorsione (o meglio riscatto), di una bambina. Suo malgrado, Aristide-Pozzetto sarà coinvolto, dopo essere stato costretto a dare ospitalità al malvivente.
E' dunque differente il tipo di triangolo: nel "Fico d'India" infatti le velleità del latin lover Maccione non solo "cozzano" contro un'integerrima Lia, ma lasciano presto spazio a un fanciullesco bisogno d'attenzioni da parte dello stesso verso il sindaco Lorenzo, che prima ricopre il ruolo del padre, poi dell'amico. Entrambi i protagonisti maschili infatti soffrivano, in modo latente, dell'assenza di un amico con cui condividere una partita a carte o una bevuta, troppo impegnato uno a fare il "galletto" con le donne, l'altro nel suo lavoro e nell'attività di primo cittadino. Da un apparente (e banale) storia di corna tipica della commedia scollacciata (il titolo d'altro canto fa pensare a un film di quel genere) si sviluppa un soggetto invece brillante, arricchito dalle comparsate di un Abatantuono in grande spolvero con il suo "terrunciello", che gira di notte per il paese con il suo maggiolone e i suoi scagnozzi a seminare lo scompiglio. Curatissimi i personaggi e l'atmosfera del paese piccolo e chiuso di mentalità.
In "Due cuori e una cappella" invece il triangolo ha caratteristiche più tradizionali e Aristide sembra la vittima predestinata: in realtà dimostrerà grande acutezza e furbizia, dando "scacco matto" sia a Claudia che a Victor. A differenza del film successivo, il rapporto tra i due personaggi interpretati da Pozzetto e Maccione (seduttore rozzo e non divertente bambinone come nel "Fico d'India") annoia fino alla rivelazione finale. Colpa anche di un soggetto più banale e di una sceneggiatura che punta tutto sul colpo di scena dell'epilogo. Ci pensa però Pozzetto a salvare "Due cuori e una cappella", donando tutto il suo surrealismo, dai dialoghi (da lui stesso curati) alla sua recitazione. Il suo personaggio è un irresistibile "modificatore", una sorta di "riparatutto" alla Orazio Cavezza, celebre personaggio disneyano, che regala più di una risata nei duetti con i suoi improbabili clienti (anche un prete interpretato da Massimo Boldi) e soprattutto con il "Self-Godeur", una macchina per l'autoerotismo che lui stesso ha costruito, il vero colpo di genio di questa pellicola.
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