La valle dei sorrisi: il Midsommar italiano è un film horror sul dolore, che sa inquietare (di Bonigol)


di Bonigol

Chi conosce Paolo Strippoli e il suo cinema (dalla sceneggiatura di A Classic Horror Story fino alla regia di Piove) certamente saprà, apprestandosi alla visione del suo ultimo film La valle dei sorrisi, di trovarsi di fronte a una trama poco convenzionale, con risvolti che passano dal cupo al grottesco, il tutto racchiuso in una cornice quasi da cartolina. 

La vicenda narrata, si svolge per l'appunto in un luogo incastonato tra le montagne del Friuli chiamato Remis (non cercatelo nelle mappe poiché si tratta di un paese immaginario) dove tutti gli abitanti sembrano essere pervasi da eccessivo e ingiustificato buonumore. In questa piccola realtà si reca Sergio (Michele Riondino), disilluso insegnante di educazione fisica ed ex campione di judo, che trascina con sé il fardello di un dramma (non ancora) passato. Remis, che qualche anno prima fu teatro di un disastroso incidente ferroviario, sembra nascondere inquietanti segreti dietro l'anomala gentilezza dei paesani. Nessuno sembra comprendere o voler accettare la tristezza e la rabbia di Sergio poiché l'unico stato d'animo presente tra gli abitanti di Remis sembra essere una totale serenità e una leggerezza d'animo che legano misteriosamente la comunità. Immune a questa condizione sembra essere Matteo Corbin, uno studente sempre serio, timido e solitario, palesemente afflitto da un grande disagio interiore. Questa "discrepanza" con la "convenzionale" allegria dilagante, incuriosisce Sergio che instaura con il ragazzo un legame che risulterà essere terapeutico per entrambi. L'uomo però, ignora che il mistero di Matteo nasconde una terribile e dolorosa verità che riguarda ogni paesano. 

Il film sfrutta molto bene l'ambientazione montana, facendo leva sulla mentalità chiusa di paese, sulla religiosità e sulle superstizioni popolane. Strippoli mostra la sua grande abilità nel catturare dettagli paesaggistici e piccoli scorci che rendono claustrofobico e perturbante uno scenario in cui predominano le tinte fredde sature per contrastare la maestosità e profondità alpina. Fotograficamente questo film è una perla. Anche coreograficamente (alcune scene corali sono vere e proprie danze di corpi) tutto risulta molto suggestivo e dal forte impatto visivo.

Il cast offre una prestazione maiuscola. Tutte le "pedine" si muovono bene in questa "scacchiera", dal burbero Sergio (Riondino), all'accogliente barista Michela (Romana Maggiora Vergano), fino al timido Matteo (Giulio Feltri) e all'autoritario parroco Don Attilio (Roberto Citran). Il regista non si limita a far scorrere gli eventi linearmente ma riesce a creare piccoli "affluenti" di trama che vanno dal coming of age alla relazione sentimentale, fino all'elaborazione del trauma.  Forse per via dell'arcano ignoto solo al forestiero, nonché per il contesto da horror-folk, La valle dei sorrisi è stato definito il Midsommar italiano, sebbene gli sviluppi non lo ricalchino più di tanto. È un film che ha per protagonista il dolore (interiore) e lo utilizza per sbattere dilemmi profondi in faccia allo spettatore. Fin dove siamo disposti a spingerci per alleggerire il peso che ci affligge? 

È giusto che la collettività sfidi l'individuo (questione in auge, ad esempio, durante la pandemia di Covid 19) mettendo l'adolescenza e il percorso tortuoso di elaborazione, crescita e individuazione sul banco sacrificale per un "disegno più grande"? Esistono dolori inaffrontabili? Al netto di qualche discreto jump scare e di una opprimente atmosfera gotica, il film di Strippoli fa vorticare queste domande. 

Un ottimo horror che riesce a inquietare, certo, ma non resta invischiato nei confini delle paure che suscita,  spingendoci a  riflettere sull'importanza di sopraffare il dolore con le nostre forze o, quantomeno, di saper trovare un equilibrio che possa farci convivere con esso. Dolore (lutto, perdita, angoscia) che tutti temiamo ma che è componente quasi inevitabile e ineliminabile dell'esperienza umana.

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