"Gli indifferenti", romanzo d'esordio di Alberto Moravia, è uno dei miei libri preferiti. Lo scrittore romano racconta lo sfacelo economico e morale di una famiglia della media-alta borghesia degli anni '20, temi che all'epoca della lettura, il periodo in cui frequentavo le scuole superiori, mi erano molto cari, perché collegati alla discografia di Fabrizio De André, basti pensare a canzoni come "Ottocento".
Guarda caso, un verso di questa canzone recita: "Figlia della mia famiglia sei la meraviglia già matura e ancora pura come la verdura di papà", una definizione che calza a pennello per la 24enne, ancora nubile, Carla Ardengo, una delle protagoniste de "Gli indifferenti". La famiglia degli Ardengo è formata dalla vedova Mariagrazia e dai figli Michele e Carla. Le loro vicende si intrecciano con quelle del ricco affarista Leo Merumeci, amante di Mariagrazia, e di Lisa, ex amante dell'uomo.
Il titolo richiama la caratteristica principale dei protagonisti, ma un altro tema fondamentale è quello delle "maschere". E anche in questo caso, all'epoca, trovai uno splendido parallelismo ne "Il ballo mascherato" di Fabrizio De André.
Il titolo richiama la caratteristica principale dei protagonisti, ma un altro tema fondamentale è quello delle "maschere". E anche in questo caso, all'epoca, trovai uno splendido parallelismo ne "Il ballo mascherato" di Fabrizio De André.
Michele cita più volte la propria indifferenza: è quella di chi si trova in un limbo, di chi vorrebbe ribellarsi alle convinzioni della borghesia, senza però riuscirci. Nel finale impugna una pistola contro Leo, scoperto che egli era divenuto amante della sorella Carla, ma dimentica di caricare l'arma. Il parallelismo con l'impiegato di "Storia di un impiegato" di De André, opera da cui è tratto "Il ballo mascherato", è rafforzato dal processo immaginato da Michele, in cui lui è imputato per l'uccisione di Leo; due personaggi diversi (figlio di una ricca borghese uno, impiegato l'altro), ma con il desiderio di ribellarsi alle regole della società. Entrambi falliscono miseramente: l'impiegato vuole buttare una bomba contro il parlamento, ma l'ordigno artigianale finisce contro un'edicola. Con una differenza sostanziale: per Michele alla fine l'indifferenza è un rifugio, è una sorta di lavaggio interiore della propria coscienza, perché la situazione finale (il matrimonio tra Leo e Carla, con Merumeci che promette anche di trovare lavoro al futuro cognato) è alla fine vantaggiosa anche per un abulico come lui.
Al contrario l'impiegato (ma sono tempi diversi, giova sempre ricordarlo..) trova il riscatto dal fallimento individuale nella lotta di classe: l'unico mezzo per opporsi in modo efficace al potere (anche se poi De André racconterà proprio il fallimento, di questa lotta di classe, nei dischi successivi a "Storia di un impiegato").
Leo Merumeci è a sua volta un indifferente. Egli infatti è indifferente all'ostilità di Michele, alle scenate di gelosia di Mariagrazia, ai sentimenti d'amore insussistenti di Carla. Ciò che conta è il potere esercitato dal denaro. Egli infatti è colui che domina tutti, grazie alla sua spregiudicatezza da affarista. Pasolini lo definirebbe "esponente del ceto burocratico-finanziario-speculativo". La preoccupazione principale per Merumeci è che gli Arengo non vendano la villa per conto loro: otterrebbero un guadagno maggiore e si sbarazzerebbero di lui senza esitazioni.
Leo Merumeci è a sua volta un indifferente. Egli infatti è indifferente all'ostilità di Michele, alle scenate di gelosia di Mariagrazia, ai sentimenti d'amore insussistenti di Carla. Ciò che conta è il potere esercitato dal denaro. Egli infatti è colui che domina tutti, grazie alla sua spregiudicatezza da affarista. Pasolini lo definirebbe "esponente del ceto burocratico-finanziario-speculativo". La preoccupazione principale per Merumeci è che gli Arengo non vendano la villa per conto loro: otterrebbero un guadagno maggiore e si sbarazzerebbero di lui senza esitazioni.
Anche Carla è un'indifferente e il suo proposito di "cambiare vita" è in realtà un voler cambiare tutto perché non cambi nulla; anch'ella, come la madre, legata al proprio status sociale. Mariagrazia è il personaggio che più esprime il concetto di "maschera": quella della signora agiata che prova a nascondere il decadimento economico della propria famiglia e che possiamo immaginare (il finale infatti è aperto, Carla non le ha ancora comunicato il suo "sì" alla proposta di matrimonio di Leo) arrivi ad accettare di essere stata sostituita, negli interessi sessuali di Leo, dalla figlia, pur di conservare il proprio status di donna benestante. Non è un caso che il libro si concluda con una festa in maschera. "Lo show" prosegue impietosamente, magari con una finta e tragicomica scena di gelosia della madre verso la figlia Carla.
Commenti
Posta un commento