Todo Modo di Elio Petri: film preveggente su Aldo Moro, condanna senza appello alla politica (con spoiler)
"Todo Modo" (1976), penultimo film di Elio Petri, scomparso nel 1982 a soli 53 anni, ha tutte le migliori caratteristiche del cinema del regista romano. Un film cupo, nel quale il pessimismo sfocia in vero e proprio nichilismo, e che fonda la sua fama non solo sulla bravura degli attori e sulla qualità dei dialoghi, ma anche su un sapiente uso della colonna sonora del maestro Morricone e sulle scenografie, qui curate da Dante Ferretti. "Todo Modo" è infatti un film che inquieta e trasmette paura: la colonna sonora ricorda quella dei thriller italiani, le riprese delle telecamere di videosorveglianza trasmettono angoscia, le stanze scure dell'albergo Zafer e il contrasto con le statue sacre, di colore bianco, sono un altro elemento di forte disturbo agli occhi dello spettatore, che respira atmosfere quasi lynchiane. Tutto questo è cornice a una storia che è un potente atto d'accusa verso la classe politica e verso la Democrazia Cristiana, fulcro del potere legislativo ed esecutivo della storia italiana.
"Todo Modo", sia nell'originario romanzo di Sciascia, sia nel film di Petri, ruota attorno a un vero e proprio giallo: omicidi di persone di alta estradizione sociale, ospiti dell'albergo Zafer. Sciascia punta il dito su una Chiesa e una politica corrotta, su una magistratura incapace (volontariamente incapace?) di assicurare il colpevole alla giustizia e di tutelare dunque i cittadini onesti. Il sangue versato è frutto delle trame di un potere sempre più sporco, che nel mondo reale (diciamo fuori dall'albergo Zafer, che è comunque simbolo dei palazzi del potere) ha effetti ancora più distruttivi: perché le vittime di quel potere sono anche ignari cittadini e persone oneste, basti pensare alle tante, terribili stragi che hanno costellato la storia dell'Italia. Petri segue la strada percorsa da Sciascia, anche se le sue attenzioni sono concentrate sulla Democrazia Cristiana. All'interno dell'albergo Zafer infatti si trovano i politici delle varie correnti del partito. Il ritiro spirituale - ispirato agli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola - dovrebbe essere la pietra fondante di un rinnovamento del partito. Ma alla fine diventa un tutti contro tutti, perché a ognuno interessa solamente tenere in mano il potere. Politici, con i loro posti di comando nelle varie azienda statali e para-statali, colti comunque da nevrosi, sofferenti, condannati comunque a una vita di inferno. Da una parte c'è l'inferno per i poveri, sfruttati e malpagati (citando Rino Gaetano), dall'altra c'è però per i ricchi, ed è un inferno peggiore (“Il peccato degli uomini del potere è degno dell’inferno più di ogni altro”, rileva Don Gaetano, il personaggio interpretato da Marcello Mastroianni).
A cercare una mediazione tra tutte le correnti è il presidente, interpretato da Gian Maria Volonté, personaggio che è palesemente Aldo Moro (Volonté interpreterà poi lo statista nel celebre film del 1986 di Giuseppe Ferrara). "Tu sei un uomo come gli altri. Ami il potere. Sei pronto a cederlo?", lo accusa apertamente Don Gaetano. La risposta è naturalmente negativa e il pensiero va alla celebre canzone invettiva di Giorgio Gaber, "Io se fossi Dio". "Aldo Moro resta ancora quella faccia che era", attacca il cantautore parlando della sua tragica fine. Il presidente interpretato da Volonté scoppia quasi in lacrime: "Io non sono come gli altri. Io sono diverso. Io non sono avido. Io non sono arrogante. Io non sono ipocrita. Sono una persona perbene, onesta, non rubo". "Tu sei come i tuoi elettori: cinico e feroce", la risposta di Don Gaetano.
E' un passaggio chiave del film: Aldo Moro fa parte di quella Democrazia Cristiana che ha tenuto il potere in Italia per anni, strizzando l'occhio (e non solo..) al grande alleato americano, allontanando la "minaccia" del più forte partito comunista europeo, quello italiano appunto, che avvicinandosi peraltro al potere (celebre il compromesso che stava tessendo Moro tra Dc e Pci), si allontanava dalle frange estremiste di sinistra (facendo quindi il gioco dei centristi e degli americanisti). Il potere - ecco spiegato il discorso di Don Gaetano - ha bisogno di conservare il proprio status quo e di soffocare le spinte dei moti di piazza. La società capitalistica e consumistica non può essere minacciata. Aldo Moro ha il potere, ma è strumento del potere: quando avrà esaurito il suo compito, lascerà il posto a un'altra persona.
Don Gaetano è un personaggio centrale del film. Rimangono dei punti in sospeso sulla sua figura, ma egli rappresenta, con certezza, la decadenza del mondo ecclesiastico: i soldi scoperti in una stanzina segreta dell'albergo sono probabilmente un riferimento agli affari dello Ior. "Io con il mio stupido gregge, innocente e peccatore, che aspetta da me il viatico per l'altro mondo": la Chiesa ha perso di vista la missione di Gesù Cristo, essere portatrice di un messaggio d'amore universale, e si è fatta corrompere dal potere, che affianca e aiuta, ottenendo un proprio guadagno. Gli uomini appartenenti alle classi sociali più basse sono innocenti (vittime delle trame del potere) e allo stesso tempo comunque peccatori (mi vengono in mente certi film di Comencini che mettevano a nudo vizi e peccati anche dei poveri): alla Chiesa basta garantir loro il conforto di una vita ultraterrena nella beatitudine, per tenere la massa sotto controllo. Don Gaetano è comunque consapevole di essere nel peccato e che sarà inevitabilmente travolto dalle trame di potere.
"Todo Modo" è stato dunque un film preveggente. Moro fu effettivamente ucciso, dalle Brigate Rosse, ma tutto sommato - al di là delle teorie complottistiche - ne fu complice la scelta intransigente della "fermezza" (no a qualsiasi tipo di dialogo con le BR) da parte della Democrazia Cristiana, sacrificò praticamente la vita di Moro, per non mettere in discussione la sua propria posizione di potere: il trattare con i terroristi infatti, per salvare la vita al proprio compagno di partito, poteva paradossalmente essere favorevole al Partito Comunista Italiano, che intraprendendo la strada della fermezza, prendeva le distanze dalla lotta armata portata avanti dai movimenti estremisti di sinistra, con possibili effetti nell'urna elettorale. La strage dell'albergo diventa infine una metafora di quello che accadde nel 1992: Tangentopoli, la distruzione della Balena Bianca e la conservazione del potere, attraverso altri uomini e altri partiti.
L'assassinio di Aldo Moro ha cambiato la storia dell'Italia.
RispondiEliminaSecondo me ha segnato un momento di passaggio della storia italiana.
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