Coda di Lupo di Fabrizio De André: il fallimento delle proteste studentesche. Spiegazione


Coda di Lupo è una delle canzoni più criptiche e suggestive di Fabrizio De André. Inserita nell'album Rimini (1978), assieme a "Parlando del naufragio della London Valour" costituisce l'ideale conclusione del disco "Storia di un impiegato". 

Non è facile analizzare il testo di Coda di Lupo, anche se in aiuto ci giunge l'ottima analisi di Walter Pistarini in "Fabrizio De André Il libro del mondo - Le storie dietro le canzoni", uno dei volumi più esaustivi nell'esegesi dei testi "deandreiani". Di sicuro molte immagini poetiche create dalla penna del cantautore arricchiscono il testo - richiamando appunto l'immaginario legato all'indiano d'America - ma non sono necessariamente metafora. 

Coda di Lupo racconta dunque il fallimento dei moti sessantottini, partendo dal parallelismo tra indiani di America e gli indiani metropolitani, uno dei gruppi studenteschi di protesta nati proprio sulla spinta del '68. Il protagonista della canzone (una figura idealmente legata a questi gruppi studenteschi) racconta la sua infanzia felice: per i bambini è facile infatti "innamorarsi di tutto". Il nonno che veglia rappresenta la figura del vecchio comunista-partigiano ed è stato forse lui a suggerire al nipote di non credere al "Dio degli inglesi", ciò che simboleggia la borghesia. Il monito è non cedere alla tentazione di sognare, per il futuro, una (spenta) esistenza da borghese. 

Da bambino a ragazzo, il protagonista coltiva un indole ribelle. Tuttavia la società in cui vive lo invita a non credere al "Dio perdente": i moti studenteschi infatti sono destinati a fallire. Meglio accontentarsi di un'esistenza borghese (e magari di un lavoro da impiegato, tanto proseguire il parallelismo con "Storia di un impiegato"). E il nonno? Il vero comunismo viene ucciso in una suggestiva "Notte delle comete", per mano di persone che si sono vendute al "Dio Goloso", al consumismo.

Nonostante tutto il giovane protagonista, oramai 18enne, partecipa alle contestazioni alla Scala di Milano: "Il Dio della scala" è simbolo dell'alta borghesia, della mondanità e delle convenzioni sociali. É un riferimento esplicito  al 7 dicembre 1968, giorno di un'irruzione del movimento studentesco alla prima della Scala, con tanto di lancio di uova contro i facoltosi spettatori. 

Ma qualcosa sta cambiando. Le interpretazioni sulla "caccia al Bisonte" sono diverse. Io riporto le parole di De André: "L'illustrazione che nel libretto che accompagna il disco si accoppia alla canzone è quella del venditore di cocomeri: un modo di dire, è fallito tutto, andiamo a fare un mestiere qualsiasi, allora vendere cocomeri può valere come andare a cacciare bisonti in Brianza, come recita un verso del brano". D'altro canto la caccia al bisonte serviva agli indiani per procurarsi il cibo: la società è numero chiuso è quella che si sviluppa sulle ferree regole del capitalismo, che produce disparità, che emargina molte persone. Il sogno di creare, con i moti sessantottini, una società più giusta sta iniziando a diventare l'utopia di chi prega vanamente e insegue un "Dio a lieto fine".

Arriviamo dunque al climax della canzone: il 17 febbraio del 1977 il segretario della Cgil Luciano Lama tiene un comizio all'università di Roma, venendo fortemente contestato dagli studenti e proprio dagli Indiani Metropolitani. Lama, chiamato "capelli corti generale" (il generale Custer veniva chiamato dagli indiani "capelli lunghi generale"), era espressione di posizioni più moderate. I sindacati infatti videro accogliere alcune istanze, che tutto sommato furono concesse dal potere per spegnere i fuochi delle proteste. I "fratelli tute blu", cioè i metalmeccanici, avevano iniziato a credere al Dio degli inglesi, alla vita borghese, accontentandosi di un apparente benessere, e soprattutto al "Dio fatti il culo": lavorare abbassando la testa, per portare a casa il denaro e costruirsi una "serena" vita borghese. 

La battaglia dell'indomito guerriero indiano Coda di Lupo è persa e la società borghese, consumistica e capitalistica ha superato la fase delle proteste e degli scontri di piazza: i "ribelli" sono scolpiti in lacrime, dunque sconfitti, nell'arco (di trionfo) dell'imperatore Traiano. Il protagonista del brano, incapace di creare una famiglia come richiesto dalle convenzioni borghese ("Ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo" è un chiaro riferimento all'instabilità sentimentale), prigioniero di nevrosi che sfoga con comportamenti spesso artificiosi ("Il teatro di posa"), si rifugia nel consumo di eroina ("Il cucchiaio di vetro"), cercando infine un appiglio disperato nel passato, ma la memoria del passato si è persa. E non può essere certo un'ancora di salvezza un "Dio senza fiato", svuotato di ogni ideale. 


Commenti

  1. Curioso in questi giorni genovesi aver ripercorso strade e versi di De Andrè, e averlo sentito vicino..

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  2. Si sfascia senza avere un progetto per ricostruire. Per questo il '68 è finito a puttane.

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  3. Stavolta mi cogli del tutto impreparata, non la conosco. Sorry.

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    1. É una canzone poco conosciuta del buon Faber, ma molto significativa :)

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