"Far finta di essere sani" è la canzone d'apertura dell'omonimo disco del 1973 di Giorgio Gaber. Il tema di questo notissimo brano, scritto con la tipica amara ironia dal cantautore milanese, è l'alienazione dell'uomo e della donna nella società del consumismo, espresso immediatamente dal verso "vivere, non riesco a vivere". Il far finta di essere sani significa indossare maschere e rispettare ogni consuetudine sociale, aderendo a quella che viene considerata la normalità, al fine di vivere un'esistenza felice. Non è così.
La società consumistica ci impone di comprare e consumare: la moto, i vestiti, i trucchi. Ma tutto questo non ci porta alla felicità, ci fa entrare solamente in un circolo vizioso in cui compriamo, usiamo, buttiamo e ripartiamo dal principio. La lotta di classe, citando la filosofia di Pasolini, doveva portare ad un'altra società, a un grande cambiamento. Invece il proletario ha finito semplicemente per inseguire il sogno di diventare borghese, in pratica di identificarsi e di sostituirsi con "gli sfruttatori". Per qualcuno la lotta di classe non è stato aderire a un credo, ma solo a una moda, così come è stata una moda dilagante negli anni '70, specie tra i giovani, abbracciare certe filosofie new-age orientali (mi viene in mente il celebre episodio "Le vacanze intelligenti" con Alberto Sordi, all'interno del film "Dove vai in vacanza?").
L'uomo fa solo finta di essere sano, soprattutto fa finta di essere libero, perché libertà non c'è. Pensiamo ad esempio agli operai che fanno turni massacranti nelle catene di montaggio in fabbrica, con il pensiero alla gitarella fuori porta della domenica o alla partita di calcio. Anche i bambini iscritti alle "vecchie" colonie estive non sanno se ridere o piangere: "parcheggiati" lì, perché la scuola è finita e i genitori sono impegnati al lavoro.
Sono passati quasi cinquant'anni e ancora oggi questa canzone suona attuale. Anche oggi infatti facciamo finta di essere sani, in una società basta su uno sfrenato consumismo e dai ritmi sempre più forsennati.
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