Foto Corriere della Sera |
Contenuta nel disco "Le nuvole" (1990), Ottocento è una canzone che, citando la descrizione di Walter Pistarini in "Fabrizio De Andrè - Il libro del mondo", è una sorta di opera buffa, con un sorprendente yodel tirolese finale.
De André critica la società del novecento e soprattutto l'alta borghesia come se descrivesse la società dell'ottocento, da qui il titolo del brano. Un'alta borghesia perfettamente inserita in quella società capitalistica che è "il motore che porta avanti tutti quanti, su un tappeto di contanti".
A parlare nella canzone è il capofamiglia ed è particolarmente significativa la differenza di considerazione che ha del figlio, un giovane yuppi che gioca in borsa e senza scrupoli anche nel rapporto con l'altro sesso, e della figlia, che è invece vista come "merce" da porre sul mercato. Non è un caso che tra "gli articoli di scambio" ci siano le figlie da sposare: la donna infatti era spesso il "mezzo", attraverso il matrimonio, per legare insieme due ricche famiglie.
De André in sostanza mette alla berlina il patriarcato della società, benché la stessa moglie non sia assolta, in quanto a sua volta meccanismo della società consumistica ("Le molte voglie - esperta di anticaglie"), l'immagine stereotipata dei giovani maschi e delle giovani femmine, ognuno con il suo ruolo sociale definitivo (l'uomo appunto affarista di successo, la donna moglie e angelo del focolare domestico, compensata però con le futilità che accumulerà).
Il fallimento però di questa società è esemplificata dalla morte del figlio, evento drammatico, frutto del rifugiarsi nella droga, "l'intruglio". Una volontà autodistruttiva che sfocia in un tragico suicidio nei "Navigli" di Milano.
De Andrè pone i fari sul lato oscuro dei giovani yuppi: ragazzi di buona famiglia che soffrono il confronto con i loro coetanei e che finiscono per essere schiacciati dalle aspettative paterne e da un vuoto che si crea nelle loro vite.
Ma nella società capitalistica-consumistica dell'alta borghesia non c'è tempo per fermarsi e piangere, c'è subito una (patetica) festa di matrimonio da celebrare.
«L'uomo che ha preso a picconate il muro bianco della canzone italiana e ha fatto vedere quello che c'era dietro: un mondo vero, un'umanità disparata e a volte anche disperata ma viva, vera. Non sempre onesta, ma che andava giudicata secondo metri diversi, perché se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo.»
RispondiEliminaSplendida definizione del grande Fabrizio :)
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