Parthenope: il personaggio che è metafora di una Napoli che sa rinascere (di Bonigol)

di Bonigol

Ed eccomi qua, con le mani che carezzano il revolver nella fondina. Pronto per un dopopranzo di fuoco. A gambe leggermente divaricate, piantato davanti all'ingresso del cinema (meno gremito di quanto credessi) fisso il nome sulla locandina: Paolo Sorrentino. Altra sfida col regista napoletano, ennesimo film, nuovo duello tra la mia voglia di risposte e il suo flemmatico ermetismo. Cerco di tenere a bada i pregiudizi e lascio parlare le immagini.

L'esperienza che ci offre Parthenope è una profonda immersione nella storia e cultura di una Napoli che si denuda sullo sfondo delle avventure di una giovane ragazza nata negli anni cinquanta. Quando viene alla luce, nelle acque del mare, un carismatico padrino (Achille Lauro) sceglie per lei il nome di Parthenope, come la mitologica sirena incapace di accettare il rifiuto di Ulisse e che si arenò sugli scogli dove ora sorge Castel dell'Ovo. 

Dopo il parto si entra nel vivo della storia, che va sviluppandosi attraverso diverse decadi, mostrandoci la crescita della ragazza (concupita con incestuoso ardore dai fratelli Raimondo e Sandrino) e le sue esperienze di vita, sempre intrecciate con elementi di mito, realtà e superstizione. 

Il film ci mostra una Parthenope radiosa, talvolta sfrontata e mai a disagio, mentre si muove in una città che è parte del suo essere, tra fastosi ricevimenti e luoghi maestosi della costa. La sua bellezza raffinata, le movenze feline, i lunghi sguardi ammalianti, rappresentano il fascino disarmante, seppure a volte deludente (e "infangato" dalla camorra) della città di Napoli, vera protagonista della storia. 

Parthenope, infatti, si destreggia con disinvoltura in ogni ambito, e non offre soltanto il proprio aspetto ma condivide riflessioni, dubbi e filosofie facendo sfoggio del proprio intellettualismo, attratta da ciò che è vecchio e intriso di cultura (la grande bellezza) senza cadere nella scontata rete di ciò che è bello. 

Certo, il film di Sorrentino mette molto impegno nell'affrontare temi universali come l’identità, la crescita personale e il legame con le proprie radici. La stessa storia della splendida Parthenope è una metafora della città: viva, contraddittoria, sofferente per drammi e cicatrici, capace di rinascere dalle proprie difficoltà. 

Attraverso le sue esperienze, Parthenope impara a riconoscersi in Napoli e ad accettarsi, trovando forza nelle sue origini e nella sua storia personale. "Dio non ama il mare!" pronuncia con malinconia, da donna matura, dopo un lungo distacco da quel golfo che non ha mai smesso di amare, anche da lontano. Il messaggio centrale del film è, infatti, un invito agli spettatori a riflettere su come il legame con i luoghi da cui discendiamo influenzino il nostro presente e futuro. Importante, per il cineasta partenopeo, sottolineare questo aspetto in un'epoca in cui spesso si tende a rinnegare o sminuire il luogo di provenienza. 

Parthenope: film che non incanta ma incuriosisce

Dopo aver letto questa breve interpretazione, qualcuno potrebbe pensare che io sia rimasto totalmente conquistato dalla storia della sfuggente ragazza napoletana (storia imbastita anche grazie a un budget spaventosamente alto). 

Non è così. 

Questo non è un film che incanta ma incuriosisce, non è un intreccio appagante ma ha un suo valore intrinseco. Agghindato con musiche (in parte "sussurrate", in parte declamate) ben orchestrate, eloquenti, quasi avessero l'uso della parola, Parthenope varca prepotentemente le sfere emozionali quando si diffondono le note di "Era già tutto previsto" (grande successo di Riccardo Cocciante), canzone intrisa di una rabbia e una malinconia che ricalcano perfettamente la delusione dei protagonisti. 

Abbiano detto non un film dalla trama avvincente, dunque, ma non posso negare la mia estasi di fronte agli aspetti tecnici: un capolavoro di cinematografia! La regia di Sorrentino è caratterizzata da inquadrature fisse e larghe, panoramiche, che catturano la bellezza e la complessità di Napoli. 

La fotografia è calda e vivida, con colori che esaltano la bellezza naturale della città e la sua atmosfera unica sia soleggiata che notturna. Così come in È stata la Mano di Dio, è presente la sopraffina sequenza di una tavolata di famiglia. Le interpretazioni degli attori (tra i quali spicca Celeste della Porta, nel ruolo di Parthenope) sono intense e coinvolgenti, esplicite nei lunghissimi primi piani scelti dal regista ed è in gran parte questa espressività a dare carattere al film. Molto interessanti le performance di Silvio Orlando nei panni di un disilluso docente universitario di antropologia e Luisa Ranieri, che interpreta un'attrice napoletana che ha trovato altrove la propria serenità (di facciata). 

C'è anche Gary Oldman che, nei panni dello scrittore John Cheever, ci regala qualche siparietto interessante. Ogni altro personaggio (come amici, interlocutori o amanti di Parthenope) racconta o "veicola" un diverso aspetto della vita a Napoli, sebbene non sia facile collocarli tutti nella giusta maniera nel proprio contesto, soprattutto i più grotteschi e (ben) oltre il limite del surreale. 

Ma ora torniamo al duello con Sorrentino e alla mia personale sfida di gradimento. 

In passato ha vinto lui con Le Conseguenze dell'Amore ed È Stata la Mano di Dio ma ho "premuto il grilletto" contro La Grande Bellezza e This Must Be the Place. 

Di fronte a questo Parthenope resto invece perplesso. 

Senza eccedere in entusiasmo, si può dire che sia un’opera che merita (la fatica) di essere vista per la sua capacità di far riflettere e di emozionare. 

Lascio per questo il "revolver nella fondina" ed esco dal cinema con tanti dubbi e qualche risposta che sboccia oltre il tempo di visione, durante il tragitto verso casa così come spunta improvvisamente un funghetto dei boschi. L'hai passata liscia, Sorrentino! Per questa volta ti lascio in pace! Ti sei guadagnato un'altra occasione. 

A proposito di Parthenope, un critico statunitense ha scritto (in toni non proprio lusinghieri) che due ore sono troppe per quello che ha definito lo spot di un profumo costoso. Un giornalista de Le Figaro parla di Napoli-Sorrentino come binomio equivalente a Roma-Fellini. Credo si possa dare ragione a entrambi e che il valore di questo film stia nel mezzo di queste considerazioni.

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