A distanza di poche ore dal mio precedente post, ho letto su un quotidiano nazionale lo stesso concetto spiegato in maniera migliore.
È chiaro che il discorso esca da Sanremo ed è altrettanto chiaro che la musica leggera (pop italiano ma non solo) abbia comunque una sua valenza.
Ma la musica di ieri, il cantautorato all'italiana, a mio parere è superiore a quella odierna e questo testo (non mi piace banalizzarlo con la parola "articolo") di Caterina Soffici lo spiega perfettamente.
La già citata Amico Fragile di Fabrizio De Andrè è un brano che parte dall'Io e dalla vita privata - il cantautore ubriaco dopo una serata casalinga con gli amici - ma che finisce per trascendere la dimensione individuale. Amico Fragile è un atto di accusa a una borghesia che vive di ritualità e di luoghi comuni. Musica e parole conducono per mano l'ascoltatore verso "un altro luogo" rispetto alla propria dimensione individuale, sulla via di un cantautore, di un uomo veramente libero ("Il mio cane si chiama libero"), che non ha barattato mai la sua chitarra, la sua musica, con la convenienza rappresentata dalla scatola di legno, cioè l'urna elettorale, la politica. Un artista, dunque, che individua valori universali che illuminano questa vita di "arrivederci" e di "mi ricordo".
Pensate alla "pietas" De Andreiana: quella che prova Tito (Il testamento di Tito) davanti al corpo agonizzante di Gesù Cristo, che è la stessa pietas che prova l'ascoltatore. Perché anche il ladrone - un malvivente, pluri peccatore - è un uomo che ama, il sentimento più nobile "che non cede al rancore", all'odio e agli altri sentimenti negativi. Non cedere a rancore e odio significa perdonare, perdonare è amore. Ed è una condizione che nobilita l'uomo.
De Andrè ci prende per mano, prende in mano il nostro "io" ipertrofico e ci porta in un luogo, in una condizione diversa: capaci di andare oltre all'emotività e alla banalizzazione dei social. Di fronte al male, sui social ci sono rabbia e sdegno che sfociano in un giustizialismo feroce.
Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.
Quanti innocenti all'orrenda agoniavotaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?
Così scriveva e cantava De Andrè negli anni sessanta: elevando la musica a poesia, la poesia in arte e l'arte come mezzo che ci permette di superare la (nostra) povertà intellettuale dell'io ipertrofico.
Beh, direi che la bella canzone di Lucio Corsi, un cantautore da sempre dai contenuti molto forti ma stranamente poco conosciuto prima di Sanremo, ci ha riportati alla melodia poetica e impegnata tipica dei più grandi cantautori italiani. La sua canzone quasi impone un ponte emotivo tra il cantante e il pubblico, frutto di emozioni che girano in alchimia nell'aria per il tramite delle parole e che scuotono l'animo di chi ascolta.
RispondiElimina"Stranamente poco conosciuto", in realtà spesso i poco conosciuti sono quelli che hanno qualcosa da dire
EliminaCi sono pochi cantautori attualmente e quei pochi non valgono, forse, quelli di un tempo.
RispondiEliminaTuttavia ho un diverso pensiero sulla musica, in generale. Personalmente non desidero ascoltare le paternali in musica, gli insegnamenti. Preferisco sempre qualcosa di leggero che mi intrattenga, che mi tenga compagnia, che mi faccia trascorrere qualche attimo spensierato. Preferisco cantare, ballare, preferisco l'energia. E tutte queste cose le ho trovate nel passato solo in Rino Gaetano (che pure faceva testi tutt'altro che spensierati). Ma gli altri non li porto nel mio cuore, sinceramente.
Ma sì: anche a me piace la musica leggera, il pop italiano del passato (e qualcosa anche del presente: perché no), per dire la disco dance degli anni '80 anche. Per non parlare di Sanremo: una parte della mia playlist è dedicata a canzoni di Sanremo. La musica è bella tutta. Il problema è quando si spaccia cantautorato di qualità quello che invece non è cantautorato di qualità :)
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